giovedì 17 dicembre 2009

Prospettive... a colori


New York Times razzista? A lanciare l’accusa è la blogosfera – soprattutto conservatrice - che l’anno scorso rimproverò il quotidiano newyorchese di avere contribuito in maniera determinante ad eleggere il primo presidente nero nella storia della Casa Bianca. Nel mirino dei critici è la prima guida al regalo per gente di colorepubblicata sul popolarissimo sito web del giornale.


Sotto la categoria “Of Color/Stylish Gifts”, la reporter afro-americana del Times Simone S. Oliver propone una vasta gamma di consigli per gli acquisti ad afro-americani. Dal “Mocha Manual to Military Life”, una guida per mogli, fidanzate di militari o soldatesse nere, alla t-shirt “Wise Latina”, in omaggio alla giudice della corte Suprema Sonia Sotomayor (indiani e ispanici rientrano nel mix).

E dal prodotti per capelli crespi “HairRules” a “Baby Jamz”, creata dal padre e dalla sorella di Beyoncé, “la linea di giocattoli interattivi hip hop”, per arrivare alla linea moda Mataano (gemelli in somalo) di Ayaan e Idyl Mohallim gemelle omozigote che il New York Times categorizza come “l'alternativa nera alle stiliste bianche per teen-ager Mary Kate e Ashley Olsen.

L’elenco è stato tacciato di razzismo dal sito conservatore Newsbusters mentre il blog liberal Gawker l’ha definito “una celebrazione del presupposto razzista secondo cui la ‘gente di colore’ è diversa e ha gusti diversi". Mediaite mette in discussione la procedura seguita dal Times e il fatto che la lista abbia avuto il via libera dai responsabili del giornale: "non riusciamo a capire la logica dietro la separazione tra regali per neri e regali per bianchi”, scrive.

“La nostra guida mira ad offrire delle idee ad una vasta gamma di pubblico, aiutandolo a fare scelte intelligenti e informate”, si difende la portavoce del New York Times Diane McNulty. E mentre Newsweek si schiera col Times (la lista è stata fraintesa: non è affatto una ghettizzazione), le critiche non hanno risparmiato la redazione del quotidiano. “Sono rimasto di stucco”, rivela un reporter del Times che chiede di restare anonimo, “Sembra che tutto il fiume di inchiostro che abbiamo versato a decantare l’America post-razziale dell’era Obama sia stato digerito da tutti tranne che dal nostro stesso giornale”.

(Il Corriere della sera)

mercoledì 9 dicembre 2009

La voce fuori dal coro nella Svizzera dei minareti

Si possono criticare la moschee, dice il ministro tedesco all'integrazione del Land Nordrhein- Westfalen, Armin Laschet (CDU). Ma non si può dibattere sul diritto che esse vengano costruite. Ma chi ha votato contro l'inziativa? Flavio, 27 anni, ha origini italiane. Racconta

Com’era il clima prima del verdetto?

Ich persönlich hatte das Gefühl, es wurde sehr stark über die bevorstehende Initiative diskutiert (z.B. im Fernsehen, Zeitungen). Zudem wurde der Wahlkampf recht agressiv geführt, wenn man beispielsweise die Plakate der Minarett-Gegner betrachtet. Alles in allem ging es bei den meisten Diskussionen aber gar nicht um die Minarette selbst, sondern eher über grundsätzliche Fragen zum Islam, deshalb war das Klima sehr emotional.

Personalmente avevo la sensazione che sarebbe stato molto difficile discutere della iniziativa imminente (in televisione per esempio, come sui giornali). Per questo la battaglia elettorale è stata condotta veramente in modo aggressivo, quando per esempio ci si trovava a giudicare le affissioni di chi si opponeva ai Minareti. Soprattutto le discussioni non erano improntate solo sui Minareti in sé, piuttosto su interrogativi basilari circa l’Islam, ecco perché il clima era molto carico dal punto di vista emotivo.

Avevi già un’idea dell’esito dell’iniziativa contro i minareti?

Nein. Wie die meisten Menschen sowie auch erfahrene Politologen dachte ich, dass die Initiative keine Chance hätte...

No. Ma io, come la maggior parte della popolazione e così i politologi esperti, ho sempre pensato che l’iniziativa non avesse alcuna possibilità di successo…

Eri per il sì o per il no?

Ich habe für die Minarette gestimmt, d.h. NEIN zur Initiative. Wir haben nur 4 Minarette im Land, das kann doch wohl keine Bedrohung sein. Ausserdem haben wir jetzt eine Bauvorschrift in unserer Verfassung, das kann nicht das Ziel sein meiner Meinung nach. Und die Initiative löst kein einziges Problem, im Gegenteil, sie schafft oder schuf neue Probleme!

Ho votato per i minareti, cioè contro l’iniziativa. Abbiamo solo 4 minareti in Svizzera, questo non può essere una minaccia. Tuttavia oggi abbiamo nella nostra Costituzione un regolamento sull’edilizia che non può ancora essere considerato secondo me un traguardo. E l’iniziativa non risolve alcun problema; al contrario, esse crea o creava nuovi problemi!

I tuoi amici cosa hanno votato?

Die meisten meiner Freunde haben für die Initiative gestimmt (also gegen die Minarette)

La maggior parte dei miei amici hanno votato per l’iniziativa, quindi contro i minareti.

Adulti e i giovani la pensano in modo differente?

Nein. Es haben überraschend viele Junge JA gestimmt, sowie auch ältere. Am grössten war die Zustimmung auf dem Land z.B. Appenzell, wo aber nur sehr wenige Muslime leben. In den grossen Städten wurde NEIN gestimmt, wie auch in einigen Kantonen der Romandie (=französische Schweiz). Ein grosser Unterschied zwischen Jung und Alt war jedoch gemäss Zeitungen nicht festzustellen.

No. Molti giovani hanno votato “sì”, come più vecchi. Il “sì” per lo più è stato registrato in una appendice del Paese, dove vivono pochi musulmani. Nelle grandi città si è scelto il “no”, come in alcuni cantoni della Svizzera francese. La grossa differenza fra giovani e adulti è quella di non stare a seguire i giornali.

Dei musulmani in Svizzera?

Sie waren entsetzt und fühlen sich benachteiligt. Sie fragen sich, warum die Religionsfreiheit nicht für alle Religionen gilt (z.B. Juden oder Buddhisten könnten Türme auf ihre Gotteshäuser bauen, Muslime nun nicht mehr).

Erano inorriditi e si sono sentiti svantaggiati. Si chiedono perché la libertà religiosa non vale per tutte le religioni (gli ebrei o per i buddisti potrebbero costruire campanili sulle loro sinagoghe, i musulmani non più).

Adesso qual è il clima in Svizzera?


Viele freuen sich. Aber unsere Regierung muss das im Ausland erklären. Und die Gegner sind wütend. Diese Abstimmung wird wohl noch lange zu reden geben.

Molti sono soddisfatti. Ma il nostro governo deve rendere conto all’estero. E gli ostili ai minareti sono furiosi. Questo risultato farà certamente ancora parlare.

Giovanna Boglietti

martedì 1 dicembre 2009

Tra simbolo e fede.



Gesù ha voluto una comunità di seguaci inserita nella “Città” in cui sono “principi irrinunciabili” il perdono, l’amore dei nemici, il servizio agli altri, l’accoglienza, la solidarietà, l’Amore, il Martirio.
Al Cristianesimo servono testimoni non testimonial. Mi chiedo frastornato: come mai così tanto zelo nel difendere il “Crocifisso” nelle scuole non si estende ai nove milioni di poveri, ai precari, ai senza lavoro, ai “senza identità, ai senza casa, ai migranti, ai “Clandestini”, ai Detenuti, alla salute di tutti.
Credo sia l’occasione di porsi domande serie, almeno all’interno delle Comunità Cristiane. C’è autentica conoscenza del fondamento storico della Fede Cristiana in Cristo risorto?


don Andrea Gallo

La Germania dei minareti

"Der Islam gehört zu uns"

Man darf Moscheen kritisieren, sagt Nordrhein-Westfalens Integrationsminister Armin Laschet (CDU) im Interview. Aber nicht über das Recht debattieren, sie zu bauen.

(die Zeit)

"L'Islam appartiene a noi"

Si possono criticare la moschee, dice il ministro all'integrazione del Land Nordrhein- Westfalen, Armin Laschet (CDU). Ma non si può dibattere sul diritto che esse vengano costruite.

Glücklicherweise ist unsere Verfassung ja klüger und lässt keine Volksabstimmung auf Bundesebene zu, erst recht nicht über Grundrechte wie die Religionsfreiheit. Aber ein ähnliches Votum wäre sicher auch in Deutschland möglich.

Fortunatamente la nostra Costituzione è più accorta e non lascia al voto popolare - a livello federale - di decidere su diritti di base come la libertà religiosa. Ma un simile voto sarebbe stato possibile anche in Germania.

Das ist das Grundproblem der Direkten Demokratie. Wer Desintegration sieht, wer den Islamismus bekämpfen will, wer Unbehagen hat gegenüber dem islamischen Glauben, wer Angst hat vor Zuwanderung – all die konnten in der Minarett-Frage mit Nein stimmen.

Questo è il problema alle fondamenta della democrazia diretta. Chi vede disintegrazione, chi vuole lottare contro l'Islam, chi prova anche solo disagio verso il credo islamico, chi ha paura dell'immigrazione - tutti questi possono rispondere con un "no" al dibattito sui minareti.

Man muss solche Stimmungen wahrnehmen und darauf reagieren. Denn gerade als Christen müssen wir uns fragen: Kann uns das nicht morgen auch passieren? In bestimmten Regionen in Deutschland sind inzwischen diejenigen in der Minderheit, die einer Kirche angehören. Wenn da abgestimmt wird über das Glockenläuten am Morgen oder den Bau einer Kirche, wird die Mehrheit wahrscheinlich auch mit Nein stimmen. Bei Juden gilt das gleiche: Wenn über jede Synagoge abgestimmt würde, bin ich mir auch nicht sicher, ob wir da überall überragende Zustimmungswerte hätten.

Alcuni stati d'animo devono essere contenuti e ad essi si deve reagire. E come cristiani dobbiamo chiederci: domani questo potrà accadere anche a noi? In alcune regioni della Germania intanto ci sono coloro che sono minorenni, che appartengono a una chiesa. Se allora si vota sul chiasso delle campane al mattino o sulla costruzione di una Chiesa, la maggior parte voterà "no". Per gli ebrei stessa cosa: se si votasse per ogni sinagoga, neppure io sarei sicuro, se dappertutto ci sarebbe approvazione.

In Deutschland können sie sicher sein, dass ihnen dieses Recht niemand nimmt. Unser Staat gewährleistet die Religionsfreiheit und sorgt dafür, dass Moscheen gebaut werden können. Aber in der Schweiz nehmen die Muslime das sicher so wahr, dass sie nicht mehr als Teil der Gesellschaft angesehen werden, dass sie zu unerwünschten Personen erklärt werden. Das ist keine gute Entwicklung.

In Germania tutti possono dire che nessuno si arroga questo diritto. Il nostro Stato preserva la libertà religiosa e si preoccupa che le moschee vengano costruite. Ma in Svizzera i musulmani lo percepiscono a tal punto che non si sentono visti come parte della comunità, ma come persone non volute. Questo non è un buon sviluppo.

Aber für mich ist entscheidend, was im Inneren der Moschee vermittelt wird. Ist das Fundamentalismus oder Ausübung einer Religion? Das ist viel wichtiger als die Höhe eines Minaretts.

Io dico di deciderci a intercedere con cosa c'è dentro alla moschea. E' fondamentalismo o la pratica di una religione? Questo è molto più importante dell'altezza di un minareto.

martedì 24 novembre 2009

Aspettando Copenaghen




Im Kampf mit der Wüste - In lotta contro il deserto

Hadda Saidi ist eine alte Nomadin. Das Wort Klimawandel kennt sie nicht. Doch sie spürt, was die Wissenschaft belegt: Es wird immer heißer in Tunesiens Wüste.

Hadda Saidi è una anziana nomade. La parola "cambiamento climatico" lei non la conosce. Ma avverte ciò che la scienza copre.


Das Grün um sie herum haben die Menschen der Wüste abgetrotzt. Hazoua heißt die Oase im Süden Tunesiens in der Sahara, direkt an der Grenze zu Algerien. Die 4500 Einwohner leben dort in einer der trockensten Gegenden der Welt. Sie sind vom Klimawandel besonders stark betroffen.

Attorno a lei gli uomini del deserto hanno sfidato abbattuto il verde. Hazoua così si chiama l'oasi nel sud del Tunisia nel mezzo del Sahara, direttamente sul confine con l'Algeria. I 4mila 500 abitanti vivino lì in uno degli angoli pià aridi del pianeta.


In den 60er-Jahren hatte die Regierung angeordnet, dass die Nomaden sesshaft werden müssen. Ob die Berber das wollten, fragte niemand. Einen Hektar Land bekam jede Familie von den Behörden. Die Berber fügten sich, tauschten Kamelherden gegen Oasenlandwirtschaft. Das Leben im Schatten der Dattelpalmen sei heute leichter als früher, sagt Hadda Saidi. "Wo sollten wir heute mit der Herde hingehen?", fragt sie. "Es gibt kaum noch Wasser in der Wüste."


Negli anni Sessanta il governo ha stabilito che i nomadi diventassero sedentari. Di ciò che volessero i Berberi non si è preoccupato nessuno. Ogni famiglia ricevette dagli enti pubblici un ettaro di terra. I Berberi legarono a sé lo scambio di mandrie di cammelli contro l’economia delle oasi. “Oggi noi dove dobbiamo lasciare le terre? Non c’è più acqua nel deserto”.



(Die Zeit)





domenica 1 novembre 2009

Alda Merini: il ricordo nei suoi versi

ora sei donna tutto un

perdono

e cosi’ come vi abita

il pensiero divino

fiorira’ in segreto

attorniato

dalla tua grazia.

martedì 6 ottobre 2009


LA SICILIA CHE RESISTE
Messina come Sarno. Almeno quattro i paesi piegati dall'alluvione


Resiste sotto la pioggia il castello normanno e resistono loro, gli abitanti di Scaletta Zanclea, il paese più colpito della provincia di Messina che l’alluvione di questi giorni ha sepolto sotto il fango e le macerie. Ha ricominciato a piovere nel primo pomeriggio, sulla costa nord-orientale della Sicilia, ma niente sembra poter fermare il lavoro dei soccorsi. Scaletta, Giampilieri, Briga Marina, Tremestieri: sono questi i nomi delle località martoriate dal maltempo. In questi centri si contano decine di vittime, tanti dispersi, abitazioni distrutte: impossibile per ora azzardare numeri. E intanto si scava, con le mani o con qualsiasi strumento, con o senza ruspe, nel fango. Scavano gli abitanti e i volontari. In alcune zone i soccorsi volano e trasportano i feriti nei vicini ospedali, la strada che conduce ai centri è una, interrotta o soffocata dal traffico.“Molti sono partiti già stamattina, perché ieri la situazione non era migliore” spiega la receptionist dell’Hotel Europa, sulla strada di Tremestieri “Qui abbiamo un’ottantina di camere libere, i nostri clienti sono lavoratori che il venerdì ripartono, quindi ospiteremo tutti coloro che hanno perso la casa in questa tragedia. Manca il nostro capo sala, lui abita in centro paese e non è potuto scendere. Sta dando una mano alla Protezione Civile”.Le precipitazioni di giovedì – dicono in molti – sono state auspici neri. C’è qualcuno che a casa non è potuto tornare, come il titolare della palestra della Polisportiva di Scaletta Zanclea: “Le strade erano impraticabili, non mi sono fidato. Mi hanno ospitato degli amici, ma in paese ho lasciato i miei genitori. Loro stanno a 5 chilometri dal luogo del disastro, quindi sono in salvo e non hanno avuti grossi danni”.Lascerà Messina per raggiungere Briga Marina uno dei membri della Associazione Nautica, che lì a ha la sua sede: “E’ sul mare, quindi mi hanno assicurato che i danni sono pochi, solo un po’ di fango. La spiaggia è salva, è il centro che è stato distrutto. Appena possibile, andrò anch’io a vedere”. I danni a Scaletta non si finiranno di contare, racconta Alberto, titolare di una casa vacanza: “Devo ancora controllare. La colata di fango ha spalancato la porta d’ingresso e rotto le finestre. Il primo piano è completamente sommerso. Altro non so, le linee dei telefoni fissi sono cadute e i cellulari hanno pochissima ricezione”.Ma i telefonini sono gli unici appigli alla vita, alla realtà che guarda da fuori il disastro. Cercano di parlare, di rispondere i sindaci di questi piccoli comuni, che sono a scavare fra la gente. C’è il sindaco Mario Briguglio tra gli abitanti di Scaletta Zanclea; c’è il primo cittadino di Itàla Antonio Miceli, che si è spostato a Scaletta per dare una mano: “Avevamo già un progetto per evitare la frana e le conseguenze dei nubifragi nei due comuni” spiega mentre corre per il centro, in perlustrazione “E’ la seconda volta che capita, solo che prima non c’erano stati i morti. Adesso pensiamo a mettere al sicuro la gente, ma è un vero disastro”.Di disastro annunciato parla anche Walter Manganaro, presidente dell’associazione Rufo Ruffo, che gestisce il castello normanno di Scaletta: “E’ andata persa la città artistica. Non è il momento per parlare di patrimonio culturale, perché si deve pensare alle vite sotto il fango, ma saremo costretti a vedere in futuro. Qui le strade sono occupate dai mezzi dei vigili del fuoco e della Protezione Civile, non si passa: il centro delle vie è lasciato libero per lo scorrimento dei mezzi. Alcuni abitanti stanno in municipio, altri alloggeranno nelle scuole. Per fortuna, abbiamo una linea di comunicazione con Catania, per il rifornimento e i soccorsi. Non ci sono più case, i palazzi sono squarciati: è una nuova Sarno. La pioggia insiste; eppure, il castello normanno è salvo. Noi lo vediamo dal basso del paese, e lui ci osserva, dall’alto del suo cucuzzolo”. Se resiste il castello, resisteranno loro.


Giovanna Boglietti

TRA LA CARNE E IL PESCE
Stranieri italiani, come Sanaa Dafani. I figli di immigrati si sentono “individui a metà”.

“Né carne, né pesce: probabilmente uovo”. Si definisce così Lucia Ghebreghiorges, di origine etiope, figlia di immigrati. Lei si occupa di comunicazione, il suo accento romano non la tradisce: Lucia è italiana. Ma anche una rappresentante di Rete G2, l’associazione nazionale fondata da figli di immigrati e rifugiati in Italia che hanno creato sul web un network per condividere le loro storie. Figli che hanno il compito, non sempre facile, di fare "da ponte" con le loro famiglie: “Fare parte di una seconda generazione vuol dire essere figli di immigrati, vivere la vita dei propri genitori non appieno ma per riflesso, e sentirsi completamente integrati nel territorio italiano. Eppure si oscilla nel mezzo e si ha la sensazione di dover badare alla famiglia, anche solo dal punto di vista linguistico. Detto questo, è vero che tra padri e figli è in corso un conflitto generazionale, ma si tratta di un passaggio che vive qualsiasi famiglia italiana. Le difficoltà si rintracciano nelle piccole cose, ma molto dipende dalle origini e dalla religione: i più chiusi sono i musulmani e i cinesi, però non è giusto generalizzare”. Di Hina Saleem e Sanaa Dafani, uccise perché amavano due italiani da famiglie che tuttora non si sono pentite, Lucia dice: “In quelle famiglie c’è mancanza di comunicazione. Il forte tradizionalismo impedisce agli adulti di capire come i figli si vedono nella società. Sono situazioni estreme, però; infatti, gli amori contrastati tra italiani e stranieri – si parla spesso di matrimoni misti – non fanno parte delle seconde generazioni perché queste condividono molto, se non tutto a volte, con i loro coetanei italiani”. Proprio l’Italia, secondo Lucia, dovrebbe tutelare i figli di immigrati: “Il 60 per cento dei bambini di immigrati nasce in Italia. Eppure, a un figlio di seconda generazione non viene garantito il diritto di cittadinanza e spesso neanche il rispetto culturale che gli si dovrebbe. Le terze generazioni vivranno meglio perchè saranno capite, ma devono acquistare un'identità. Non parlerei quindi solo di un problema “intra-etnico”, ma della necessità di far sentire italiano chi italiano, in fondo, lo è già”. (nella foto: Claudio Cintoli,"Uovo nuovo", 1975)


Giovanna Boglietti
La Lega vuole vietare il burqa in Italia
Arresto in flagranza, reclusione fino a 2 anni e una multa fino a 2mila euro. Tanto rischierà chi «in ragione della propria affiliazione religiosa» indosserà in pubblico indumenti che rendono «impossibile o difficoltoso il riconoscimento», se sarà approvata la proposta di legge presentata alla Camera dal gruppo della Lega Nord. Il testo di fatto chiede di vietare l’uso di burqa e nijab, ma senza menzionarli esplicitamente come invece fa la proposta a firma Souad Sbai già all’esame della commissione Affari costituzionali. E non a caso. Il Carroccio non vuole aprire una guerra di religione, ha fatto capire il capogruppo Roberto Cota nel presentare stamani a Montecitorio la proposta di legge. «Il nostro è un testo equilibrato», ha sottolineato.
continua sul sito de "La Stampa"
Il Grande Imam dei sunniti:«Il velo integrale non è Islam»
Che la laica Francia se la prenda con il burqa non sor­prende più di tanto. Che la som­ma autorità religiosa di tutti i musulmani sunniti condanni duramente il velo integrale può invece stupire. Eppure sheik Mohammad Tantawi, Grande Imam dell’Azhar, que­sta volta è stato chiaro. «Il ni­qàb , il velo che copre il volto, è una tradizione del tutto estra­nea all’Islam», ha detto a una stupitissima liceale visitando la sua scuola al Cairo. «Perché lo porti? Non è religione que­sta, e io di religione credo di ca­pirne più di te e dei tuoi genito­ri ». E ancora: «Emanerò una di­rettiva per proibire l’uso di que­sto velo in tutte le scuole di Al Azhar. Allieve e insegnanti non potranno più portarlo». A dife­sa della ragazza, racconta il quotidiano Al Masri Al Yawm, sono intervenute le professo­resse: «Se l’è messo quando è entrato lei, con le compagne non lo indossa». Ma l’anziano capo di Al Azhar ha ribadito il divieto, comunque e sempre.
continua sul sito de Il Corriere della Sera

martedì 22 settembre 2009

Il lutto scorrevole


La rappresentazione del dolore più intenso ha mostrato due Italie diverse: quella ufficiale ha riempito le chiese, l'altra era distratta dalla sua quotidianità
Gli anziani ricordano che durante i funerali del Grande Torino l'Italia intera si arrese al dolore. Saracinesche abbassate e lutto al braccio, da Bolzano a Palermo. Un senso di sgomento collettivo, immortalato in pagine stupende da Indro Montanelli, che raccontò una partita di calcio giocata in piazza San Marco dai ragazzini veneziani: si passavano il pallone evocando i nomi dei caduti. Il lutto allora era il Lutto. Scavava nelle persone e restava aggrappato per sempre ai fili della memoria. Ma ancora negli anni Settanta la morte di un Papa o una strage terrorista provocavano le stesse reazioni solenni. La tv di Stato dettava la linea, abolendo di colpo i programmi di svago per trasmettere musica classica, mentre le sale da ballo spegnevano le luci e il silenzio regnava assoluto nelle piazze e dentro gli stadi. Era tale la convinzione che il lutto dovesse avere quel genere di struttura tragica che il giorno in cui a Dallas venne assassinato Kennedy i giornali italiani si rifiutarono di pubblicare gli articoli dei loro inviati, che testimoniavano invece il disinteresse dell’America profonda per lo storico evento, surclassato dal campionato di baseball.Poi il lutto ha incominciato a cambiare anche qui. È successo quando le immagini hanno preso il posto delle parole e le emozioni quello dei sentimenti. Le immagini e le emozioni sono potenti, ma brevi e superficiali. Come certi temporali estivi che sconquassano il suolo ed evaporano in fretta, senza penetrare in profondità e lasciando la terra più arida e assetata di prima. Nessun evento recente, a parte le Due Torri, è apparso abbastanza memorabile da coinvolgere intensamente una comunità intera. Nessun evento, nemmeno la morte di sei soldati a Kabul.


Massimo Gramellini


mercoledì 9 settembre 2009

Violenza sulle donne, Napolitano: «In Italia ancora fatti raccapriccianti»

«La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l'omofobia fa tutt'uno con la causa del rifiuto dell'intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentata dall'ignoranza, dalla perdita dei valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dei principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza della nazione democratica».
È questo il messaggio che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto lanciare inaugurando mercoledì mattina alla Farnesina la conferenza internazionale sulla violenza contro le donne. Anche «in paesi evoluti e ricchi come l'Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani» ha ricordato a tal proposito il capo dello Stato.

Continua sul sito di Corriere.it

venerdì 4 settembre 2009

Madonne suicide

Sorridono sotto il velo delle Vergini con in braccio il bambino Gesù. Sono i volti delle terroriste suicide, impressi sui dipinti di una provocatoria mostra a Tel Aviv. Chiusa.

Le immagini sul sito di La Repubblica.

venerdì 28 agosto 2009

Piccole donne

A volte diventano più cattive di papà
Eccole: sono le figlie dei dittatori


Richard Bruce Cheney è forse il più celebre di tutti i presidenti «mancati». Era l’uomo ideale, a metà anni Novanta, per togliere di mezzo Bill Clinton. Un ruvido custode dei più rigidi principi conservatori. Ma Richard Bruce, per gli amici Dick, non ci provò neppure. Il partito offrì la chance a Bob Dole e andò male. Tutto colpa di una donna. Ma non è come sembra. Quella donna si chiama Mary Cheney, e di Dick è la figlia. Una figlia fidanzata da anni con una guardia forestale di nome Heather. Non esattamente ciò che ispira la chiusa destra americana. Cheney in quegli anni negò persino che la figlia fosse omosessuale. Poi, una volta alla Casa Bianca - come vice - le ha dato un lavoro. E Mary è diventata la stratega della sua campagna. Oggi ci sono molti più gay repubblicani in America, grazie a lei. Tutto bene ciò che finisce bene. Ma non è questa la regola. In politica ci si preoccupa tanto di amanti e amiche, ma a volte sono le figlie a costituire un peso. Succede, a differenza di Mary, quando si mettono in testa di superare la fama dei padri, ubriache di potere e gloria. Prendiamo il caso Aung San Suu Kyi, prigioniera della giunta militare birmana da vent’anni, dopo aver vinto le elezioni. Ebbene, il suo destino fu scritto da una figlia d’arte, Sandra Win, rampolla prediletta di Ne Win presidente a Myanmar prima dell’avvento della giunta. Così amata da papà che appena 37enne ottenne poteri speciali e, sognando di diventare lei la leader del paese, ordinò repressioni brutali. Si sospetta che fu proprio lei a suggerire l’incarcerazione di San Suu Kyi, con cui si sentiva in competizione. Troppo ambiziosa, estremamente vanitosa, si inimicò i militari che finirono per mettere pure lei agli arresti domiciliari. Da circa un anno è di nuovo in circolazione, si è comprata la libertà grazie alle fortune ammassate quando era al governo.

Continua... vai.

martedì 4 agosto 2009


(La Stampa)

Barbara Berlusconi, intervistata da Vanity Fair, torna sulla vicenda che ha riguardato suo padre Silvio e Noemi Letizia, la ragazza di Casoria. A chi le domanda cosa pensi delle attenzioni che suo padre ha avuto nei confronti di Noemi Letizia risponde: «Mi ha stupito. È una dimensione che non ha mai fatto parte del mio quotidiano. La mia storia - afferma - è quella di una ragazza che ha vissuto la sua giovinezza in modo sereno e normale. Non ho mai frequentato uomini anziani. Sono legami psicologici di cui non ho esperienza». Ma non solo. Aggiunge Barbara Berlusconi: «Non credo che un uomo politico possa permettersi la distinzione tra vita pubblica e vita privata».

sabato 1 agosto 2009

L'associazione Femen: proteste simboliche e campagne choc per scoraggiare i turisti
«L'Ucraina non è il bordello dell'Europa»
Una studentessa su otto si prostituisce. E l'Aids è a livelli record. Ma ora c'è chi si ribella

(Il Corriere della Sera)

venerdì 31 luglio 2009

Gran Bretagna, Debbie ha vinto:
il marito potrà aiutarla a morire


I Law Lords le danno ragione: «Servono regole su chi accompagna i malati all'estero per il suicido assistito»

(Il Corriere della Sera)

mercoledì 29 luglio 2009

Fissata per oggi l'esecuzione della pena inflitta alla giornalista Lubna Ahmad Hussein
Fermata con altre donne in un locale. Ha chiesto ai colleghi di assistere alla fustigazione

Sudan, condannata a 40 frustate perché indossava i pantaloni

(La Repubblica)

lunedì 27 luglio 2009

Hin und her

Thema Spezial - "Natascha Kampusch - Das erste Tv - Interview" (2006)

"Ich dachte nur an Flucht.

Pensavo solo alla fuga"


Gli psicologi: andando in quella casa sta cercando di gettarsi il passato dietro le spalle

La ragazza ha comprato la villetta dove è stata segregata dal suo aguzzino per otto anni. Ci va per «rilassarsi»


(Il Corriere della Sera)

Patrizia D'Addario europarlamentare.

Silvio Berlusconi call girl claims she was offered MEP seat
Patrizia D'Addario, the call girl who claims to have slept with Silvio Berlusconi, has claimed she was offered a seat in the European Parliament after their night together.

(The Daily Telegraph)

mercoledì 22 luglio 2009

Che fai, tu luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?




Pur tu, solinga, eterna peregrina,


Che sì pensosa sei, tu forse intendi,


Questo viver terreno,


Il patir nostro, il sospirar, che sia;


Che sia questo morir, questo supremo


Scolorar del sembiante,


E perir dalla terra, e venir meno


Ad ogni usata, amante compagnia.


E tu certo comprendi


Il perché delle cose, e vedi il frutto


Dei mattin, della sera,


Del tacito, infinito andar del tempo.


Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore


Rida la primavera.



(Giacomo Leopardi)

lunedì 20 luglio 2009


Rita Borsellino: «Lo Stato è assente»


La sorella del giudice: «Non bastano le corone di fiori per dare omaggio alle vittime della mafia»


(Il Corriere della sera)

venerdì 17 luglio 2009


Troppo sexy per fare la guardia carceraria
Giovane inglese costretta a dimettersi

Una 22enne denuncia il servizio penitenziario inglese e il ministro della Giustizia

(La Repubblica)


Troppo sexy per fare la guardia carceraria e per questo costretta a lasciare il proprio posto di lavoro. La denuncia arriva dalla diretta interessata, la 22enne Amitjo Kajla, che ha deciso di portare in tribunale il servizio penitenziario inglese e il ministro della Giustizia, Jack Straw (che, però, scrive il Daily Mail, non sarà chiamato a testimoniare in aula) per quello che considera un vero e proprio caso di mobbing che, nell’aprile scorso, ha portato al suo ingiusto allontanamento dal carcere dove prestava servizio.

martedì 14 luglio 2009

Abbigliamento "indecente"


La denuncia di una giornalista locale arrestata con le altre in un ristorante della capitale.
Sudan, donne frustate a Khartoum perché indossavano i pantaloni

(La Repubblica)


mercoledì 8 luglio 2009

L'immagine del G8: Angela Merkel a Onna.


La cancelliera visita il centro colpito dal terremoto, Berlino impegnata per la ricostruzioneSosta davanti alla stele per le vittime dell'eccidio nazista del 1944
Berlusconi e Merkel a Onna "Un borgo colpito dalla Germania"

(La Repubblica)



martedì 7 luglio 2009

Rebiya Kadeer, la guerriera gentile


Rebiya Kadeer non ci sta. La presidente del Congresso mondiale degli uiguri, dall'esilio americano in cui vive dal 2005, e imprenditrice più volte votata al premio Nobel respinge ogni accusa avanzata dal governo cinese: non c'è mai stata nessuna organizzazione dietro la protesta pacifica degli uiguri scesi in piazza per chiedere indagini su presunti pestaggi razziali. Alla vigilia del vertice del G8 a L'Aquila, la Cina sente su di sè lo sguardo perplesso e critico dell'opinione internazionale. A pesare, il massacro di quei centocinquantasei uiguri della minoranza musulmana dello Xinjiang, il Turkestan orientale che rivendica la sua indipendenza.

Rebiya Kadeer non rinuncia a tal proposito a far sentire la sua voce, ribadendo ciò che ha scritto di recente nella fresca autobiografia, intitolata "La guerriera gentile".


Rebiya Kadeer, la più nota dissidente della Cina, si racconta in questo libro che è una fotografia lucida e impietosa di un regime spietato. Ha assistito al fallimento disastroso del grande balzo in avanti, ha subito la rivoluzione culturale, con la famiglia di etnia uiguri e religione musulmana è stata cacciata più volte dalla propria terra e più volte ha dovuto ricominciare tutto daccapo. Da semplice lavandaia è diventata imprenditrice e miliardaria: è stata a lungo il simbolo della donna emancipata nella Cina convertita al neocapitalismo e ha partecipato alla Quarta conferenza mondiale sulle donne dell'ONU di Pechino nel 1995. Ma da quando si è rifiutata di dissociarsi dalle parole del marito, dissidente ed esule negli Stati Uniti, Rebiya Kadeer è stata sottoposta a una feroce persecuzione e i suoi undici figli hanno subito ritorsioni e rappresaglie. Imprigionata, ha trascorso in carcere cinque anni, fino al 2005, quando è stata rilasciata in seguito a un accordo con gli Stati Uniti, dove attualmente risiede insieme al marito e a sei figli, e da dove continua a tenere alta l'attenzione sulle violazioni dei diritti umani da parte della Cina. Candidata tre volte al premio Nobel, nel 2004 ha ricevuto il premio Rafto per i diritti umani.







domenica 5 luglio 2009

Domenica, la combattente la liberatrice.


Die Kämpferin, la combattente, riposa a Ohlsdorf (Amburgo), in un cimitero immerso nella pace. Un giardino che l'ha accolta tra il verde dei suoi prati e mazzi di rose rosse, il colore della sua vita. C'è chi, in Germania, ne ha fatto addirittura un video con tanto di colonna sonora. Ma die letzte Ruhe, l'ultimo riposo, per Domenica Niehoff sembra lontano.



"E' stata la più famosa prostituta tedesca, morta nel febbraio scorso a 63 anni dopo aver dedicato la sua vita al riconoscimento dei diritti di chi pratica questo lavoro. Celebre anche per il suo seno abbondante (112 centimetri di circonferenza), Domenica Niehoff avrebbe dovuto avere una lapide disegnata dal suo amico e artista Tomi Ungerer, ma il monumento funebre è stato considerato non adatto a un cimentero, proprio perchè avrebbe raffigurato un mezzobusto molto realistico della donna. Domenica è la prima prostituta ad essere sepolta nel celebre 'Giardino delle donne', area del cimitero di Ohlsdorf, dove riposano donne che si sono distinte per motivi artistici, sociali e culturali".

(La Repubblica)


Domenica, die Befreierin der Prostituierten ist tot. Morta la liberatrice delle prostitute.

Doch sie hat es geschafft, dass Prostitution in Deutschland kein Tabu-Thema mehr ist. „Ich habe erreicht, dass mehr über Prostitution geredet wird. Dass nicht mehr so darüber getuschelt wird. Dass sich Mädels trauen zu sagen: „Ich war im Milieu, aber ich will jetzt aussteigen“, sagte sie einmal.

Grazie a lei, la prostituzione in Germania non è più una questione tabù. "Ci sono riuscita, ora si parla di più di prostituzione. Questo non veniva neanche più abbozzato una volta. Quello che le ragazze si fidano di dire è: "Ero nell'ambiente, ma adesso voglio smettere", affermò Domenica tempo prima.


(die Welt on line, 12 febbraio 2009)

sabato 4 luglio 2009



Shirin Ebadi in Italia: il popolo iraniano vincerà

Shirin Ebadi, la coraggiosa Premio Nobel per la Pace e avvocato dei Diritti Umani, è in questi giorni in Italia. A Bolzano ha ritirato per conto di Narges Mohammed, bloccata dalle autorità iraniane in Iran, il premio Alexander Langer.

La Ebadi, che era stata nei giorni scorsi a Bruxelles per chiedere aiuto e sostegno all'Unione Europea e per chiedere che la UE ritirasse i propri ambasciatori dall'Iran, ha ribadito che la protesta va avanti anche se, a causa della durissima repressione, con modalità diverse. Ha poi chiesto che le elezioni in Iran vengano rifatte sotto il controllo di osservatori dell'Onu.
La Ebadi ha rimarcato che la costituzione iraniana, quella pensata e scritta per la “repubblica islamica”, prevede la possibilità di protestare pacificamente e che quindi la repressione in atto è il sintomo che la “repubblica islamica” si è trasformata in un “regime islamico” dove i Diritti costituzionali e i Diritti Umani vengono coscientemente e sistematicamente violati.
Shirin Ebadi con altre donne tra le quali, Simin Behbahani, Azam Taleghani, Elahe Kulaii, Shahla Lahiji, Farzaneh Taheri e Shahla Ezazi, qualche settimana prima delle elezioni con grandissimo coraggio aveva annunciato la nascita della Coalizione del movimento delle donne iraniane per esporre le richieste delle donne alle elezioni presidenziali”, un gruppo assolutamente non politico nato al solo scopo di esporre le richieste delle donne iraniane ai candidati presidenziali una mossa che purtroppo è stata ampiamente sottovalutata dall'occidente e dalla “grande stampa” occidentale che ha evitato accuratamente di dare risalto a questa importantissima iniziativa.
In una intervista a RAI News24 la Ebadi ha ribadito che il regime non riuscirà a zittire la protesta, nemmeno con le violenze e le esecuzioni. “Il popolo iraniano vincerà” ha detto Shirin Ebadi che nei prossimi giorni sarà ancora in Italia.


Dalla pelle al cuore.



Sex and the Altersheim
Sesso e gerontocomio

(Der Spiegel)

Gloria Vanderbilt, 85, Erbin und vornehme New Yorkerin, hat einen Sadomaso-Roman verfasst. Schöne Frauen spielen mit, ein Architekt, Karotten und ein Einhorn.


Gloria Vanderbildt, 85 anni, ereditiera e distinta newyorkese, ha scritto un romanzo sadomaso. Vi recitano belle donne, un architetto, delle carote e un unicorno.


Wild waren schon die Mama und der Papa. Ein bisschen zu wild für das Baby, die kleine Gloria. Verantwortungslos wild. Fing es damit an? Reginald Vanderbilt, Trinker, Eisenbahnmagnat, Frauenfänger, Pferdezüchter und Spieler, lebte sich zu Tode, da war Gloria 17 Monate alt. Sie erbte viele Millionen Dollar, es war 1925. Glorias Mutter, Witwe, nahm die Kleine mit an die Côte d'Azur, wo sie Champagner für sich, einen deutschen Prinzen und französische Bürgerliche kaufte, angeblich beiderlei Geschlechts. Die Haushälterin erzählte vor Gericht von lesbischer Liebe, eine Tante erstritt das Sorgerecht, und so wurde Little Gloria ihrer Mutter entrissen. Sex schockierte Amerika, Amerika wollte jedes Detail wissen. Prüde Zeiten.
Licenziosi lo erano già la madre e il padre. Un po' troppo licenziosi per la bambina, la piccola Gloria. Incoscientemente licenziosi. Reginald Vanderbildt, buon bevitore, magnate delle ferrovie, donnaiolo, allevatore di cavalli e giocatore d'azzardo, campò così fino alla morte, quando Gloria aveva solo 17 mesi. Lei ereditò molti milioni di dollari, era il 1925. La madre di Gloria, Witwe, portò la piccola sulla Costa Azzurra, dove comprò per sè champagne, un principe tedesco e borghesi francesi. La governante serviva come piatto il racconto di un amore lesbico, una zia contese il diritto di tutela così la piccola Gloria fu separata dalla madre. L'America scioccata voleva sapere ogni dettaglio. Tempi antichi.

Heute ist Lady Vanderbilt, 85, eine alte Dame, sie ist Teil eines feinen New York, das rechts und links des Central Park unter sich bleibt. Frau Vanderbilt hat in all den Jahrzehnten Jeans entworfen und verkauft, sie hat Söhne geboren und Ehen geschlossen und beendet, Letzteres viermal. Zum Freundeskreis zählte Truman Capote, viele Liebhaber waren da außerdem, unbekannte und andere; die anderen hießen Frank Sinatra, Howard Hughes, Gene Kelly und Marlon Brando. Und nun hat die berühmte Gloria Vanderbilt einen Sadomaso-Roman verfasst, "Obsession", 144 Seiten.
Oggi Gloria Vanderbildt ha 85 anni, è una donna anziana, fa parte della élite di New York, vive sopra Central Park. La signora Vanderbildt in questi decenni ha disegnato il modello dei jeans e li l'ha venduto, ha avuto dei figli e chiuso matrimoni, l'ultimo dei quali era il quarto. Nella sua cerchia di amici c'era Truman Capote, ma molti suoi amanti erano sconosciuti, erano altri; gli altri si chiamavano Frank Sinatra, Howard Hughes, Gene Kelly e Marlon Brando. Ed ora la famosa Gloria Vanderbildt ha fatto un famoso sadomaso, intitolato "Obsession", di 144 pagine.


Natürlich wird das Ganze nun ein New Yorker Skandal. "Obsession" ist Ablenkung in grauer Zeit. Die Blogger diskutieren, Lesungen lehnt der Verlag ab, und Anderson Cooper sagt viele Male, er wolle lieber nichts sagen, doch er liebe seine wilde Mama.
Naturalmente il tutto ha fatto scandalo. "Obsession" è una distrazione in tempi grigi. I blogger discutono, la casa editrice nega le letture, e Anderson Cooper continua a dire che non vorrebbe dire nulla, ma che ancora ama la sua mamma licenziosa.


Giovanna Boglietti

"In ogni angolo di quella stanza sembra risuonare una musica senza tempo, persino sul volto di Dhondutai che, tra quelle mura, pare totalmente ignara degli uomini intenti a bighellonare intorno ai bordelli sotto la sua finestra. Arrivare da lei, pensa Namita, è stato come attraversare uno stagno sudicio per raggiungere un bellissimo fiore di loto".


Namita Devidayal è nata nel 1968. Si è laureata all'università di Princeton e lavora come giornalista per il «Times of India». Vive a Mumbai.

venerdì 3 luglio 2009

Metamorfosi a sinistra
E Debora la vincente diventò nel Pd una giovane petulante
Il «paradigma Serracchiani»: prima era un soprammobile pregiato, adesso una presenza molesta e petulante. Sono bastate due battute di un’intervista


Il «paradigma Serracchiani» prescrive che nel Pd il giovane adottato da tutti sia trattato come un cucciolo da vezzeggiare con paternalistica accondiscendenza, ma se è un giovane che sceglie una parte e dice la sua, allora sono rampogne severe, commiserazione, persino dileggio. Da un giorno all'altro il volto nuovo di Debora Serracchiani si deforma nel simbolo dell'ingenuità.
La Serracchiani ha detto che sta con Franceschini perché è più simpatico. Una leggerezza, ma da quanti anni, e con quanta stucchevole ripetitività, nella sinistra ci si avvita nella ricerca smaniosa di un leader che sia dotato di un appeal comparabile a quello di Berlusconi? Mai un rimprovero, nemmeno un buffetto: niente di paragonabile all’orrore suscitato dalla irriverente giovane (e donna). La Serracchiani ha anche detto che Massimo D’Alema rappresenta a suo parere una logica d’apparato da cui il Pd dovrebbe emanciparsi. Magari è una ruvida e ingiusta semplificazione. Ma è esattamente quella che pensano e non dicono, o forse sussurrano, esponenti ben più esperti e stagionati del Partito democratico.

(Il Corriere della sera)

giovedì 2 luglio 2009


E persino in una nazione così progressista questa scelta ha suscitato polemiche. Ma i fedeli sono con lei
La sua giovane compagna, che è una pretessa, ha partorito il figlio tre anni fa


Eva, naturalmente. La prima donna. Vescovo, lesbica, con un bimbo che gioca nella sagrestia mentre lei dice messa. Eva Brunne accavalla le gambe sotto alla tonaca bianca e si fa seria. "Le polemiche erano prevedibili. Esistono dei preti che seguono gli sviluppi democratici e che vogliono che la Chiesa ne faccia parte. Altri, invece, vi si oppongono". Alza le spalle, e scuote una mano all'indietro, come a dire: uomini arretrati, bisogna perdonarli. Caschetto di capelli biondo cenere, occhi azzurri, un viso grassottello e luminoso. Ha 55 anni, una compagna più giovane, Gunilla Linden, che tre anni fa ha partorito il loro bambino. Tutto normale, o quasi. Se non fosse che questa sacerdotessa è stata appena eletta "vescova" di Stoccolma. E anche nella progressista Svezia - dove il clero femminile esiste da mezzo secolo - si è creato uno scandalo che la Chiesa luterana non riesce più a superare.

(La Repubblica)

Aggrappata a un pezzo dell'aereo per 12 ore: dal disastro alle Comore si salva una ragazzina.

Retour en France de Bahia, seule rescapée de l'A310 de Yemenia


La seule rescapée de l'accident de l'Airbus A310-300 de Yemenia au large des Comores a été rapatriée jeudi matin à Paris, a constaté un journaliste de Reuters sur place.
L'adolescente de 14 ans, qui a des coupures au visage et une clavicule cassée, a été hospitalisée dans un établissement parisien.
Le père de Bahia Bakari, qui a perdu son épouse dans l'accident, attendait sa fille dans un hangar de l'aéroport du Bourget.
"Je suis partagé entre soulagement et chagrin. Je vois ma fille, je suis heureux mais il y a aussi sa maman qui n'est pas là", a-t-il déclaré à la presse.
Originaire de Corbeil-Essonnes, près de Paris, Bahia a été rapatriée à bord d'un Falcon ramenant en France le secrétaire d'Etat à la Coopération Alain Joyandet et qui s'est posé vers 08h00 à l'aéroport du Bourget.
Le secrétaire d'Etat s'était rendu à Moroni, aux Comores, après la catastrophe, pour témoigner de la solidarité de la France, qui a engagé des moyens pour participer aux recherches des débris de l'appareil et des boîtes noires.
Bahia "est dans un état physique tout à fait surprenant", a déclaré Alain Joyandet sur i-Télé, saluant le "courage" de la jeune fille. Elle serait "restée accrochée pendant 12 heures à un débris d'avion" avant de faire signe à un bateau des secours qui passait.
Le secrétaire d'Etat à la Coopération a souligné à son retour à Paris qu'il était encore trop tôt pour parler des causes de l'accident, survenu dans la nuit de lundi à mardi.

(Le Monde)

martedì 30 giugno 2009

Mio bambino. Mio leone

C'è questa tele-scatola affollata di culi, di soldi e di carneficine. Ti mando di là quando arriva il telegiornale, tu fai capolino: "Chi hanno ammazzato?", chiedi. "Un vecchio" dico. "Non è vero, un bambino". Perché dietro la gonna di questa apparente felicità sapete di far parte di una categoria che non può difendersi. Tiri un calcio al pallone, spacchi una lampada. Io chiudo gli occhi. Non posso pensare ai bambini violati. Perdo coraggio, indietreggio. Come faccio a difenderti? Compro le mele biologiche. Basterà una mela biologica a difenderti? Basterà a salvare la mia parte di mondo? E il resto? Quei figli senza gadget e senza fortuna. Bambini-insetti che muoiono avvolti di mosche nelle nostre televisioni piene di prati e di bottiglie d'acqua purissime e di troie che ballano e d'imbecilli che vendono. Devo proteggerti, anche da questa tristezza. Come farai a essere felice? Come farai a districarti, a interpretare, a scartare, a scegliere?

(Margaret Mazzantini)

Muore un bambino, e diventa subito nostro.

L'ESPLOSIONE DEL TRENO IN TOSCANA
Morta la piccola al Bambino Gesù. Aveva ustioni sul 90 per cento del corpo
Una bambina di quattro anni, trasferita all'alba da Viareggio e operata


(Il Corriere della sera)


Salvatore è stato il primo a trovare il corpo di un bambino dentro una Renault Megane. «Nessuno si era accorto che era lì – racconta ancora scosso -. Era solo, si copriva il volto, povero bambino. Ci hanno detto che la mamma lo ha tirato fuori dalla casa, quella vicina alla ferrovia e completamente invasa dalle fiamme, e per salvarlo lo ha chiuso in auto. Poi ha cercato di salvare gli altri due figli. Mentre era in casa, la nube di fuoco ha coperto la macchina».

lunedì 29 giugno 2009

Lettere libere.


Il video postato domenica dalla onlus secondoprotocollo.org
Una donna contro Ahmadinejad:
la foto simbolo della protesta in Iran

Lo scatto ritoccato, scovato su YouTube, racconta la protesta a Teheran. E ricorda piazza Tienanmen

È un fotomontaggio ma ha tutti i requisiti per essere un'immagine simbolo dell'Iran di oggi. Ritrae una donna con il velo nero ed una leggera maglietta verde sui jeans. La giovane ha un tascapane a tracolla. Il braccio destro allungato. Il polso sottile che spunta dalla manica. Il pugno è chiuso. Il dito medio è alzato. È sola, a piedi. Davanti a lei, enorme nella foto schiacciata dal teleobiettivo, il muso di un suv grigio. Dal tetto spunta il presidente Mahmud Ahmadinejad, sorridente, quasi benedicente. Alle sue spalle le sagome di due guardie del corpo. Ricorda lo studente di piazza Tienanmen davanti al carro armato. Nella foto originale (ma non vi è al momento alcuna conferma di autenticità), la donna è davanti alla macchina blindata del presidente e sembra fargli segno di fermarsi ma senza insultarlo, senza alzare cioè il dito medio. Non si conosce la data in cui la foto è stata scattata, né l'occasione.

(Il Corriere della Sera)


La risposta di chi quella foto l'ha magicamente recuperata da Teheran non si è fatta attendere. Sono i volontari della onlus italiana Secondoprotocollo che sul sito internet dell'associazione ringraziano, cogliendo l'occasione per ribadire il loro impegno a favore dei diritti umani:
"Ci ha fatto molto piacere sapere che una immagine postata dalla nostra organizzazione qualche giorno fa su Facebook e poi inserita in un video su Youtube è diventata il simbolo della rivolta iraniana. Ieri il Corriere della Sera, Telecinco e altri giornali importanti lo hanno evidenziato. Oggi molti giornali cartacei riportano la notizia.
Ma è giusto dare a Cesare quello che è di Cesare. Se Secondo Protocollo ha avuto l'onore di diffonderla attraverso il web, la storia di quell'immagine è un tantino più complessa. Che sia ritoccata o meno ha poca importanza, quello che ha importanza è la sua provenienza e soprattutto il suo significato.
L'immagine arriva dall'Iran, dove circola negli ambienti della dissidenza, attraverso una mail delle tante ragazze iraniane che giornalmente riescono a farci avere il resoconto degli eventi (chiaramente omettiamo di dare il nome anche perché da allora non abbiamo più notizie di lei). Quello che ci preme sottolineare è proprio il tipo del gesto, non tipico dell'Iran dove quel gesto in se non vuol dire niente, ma che grazie alla globalizzazione e a internet è diventato un gesto universale conosciuto anche tra i giovani iraniani. Quel gesto è la rappresentazione del pensiero dei giovani iraniani e il fatto che sia una ragazza, a prescindere dal gesto, a sfidare Ahmadienjad mettendosi di fronte al suo Suv la dice lunga sul coraggio delle giovani iraniane.
Il Corriere ha paragonato questa immagine a quella famosissima di Piazza Tiananmen dove un bambino fermava un carro armato. Ecco, ci piace pensare che questa ragazza e questa immagine diventino veramente il simbolo della protesta contro Ahmadienjad, una protesta che ormai va oltre (molto oltre) a qualsiasi logica politica o di spartizione del potere ma che è diventata una lotta per i Diritti e per la Libertà. Secondo Protocollo".
Cervelli in fuga - Rita Clementi, 47 anni, 3 figli: sistema antimeritocratico
«Scappo. Qui la ricerca è malata»
Lettera della precaria che scoprì i geni del linfoma

(Il Corriere della Sera)

Una laurea in Medicina, due spe­cializzazioni, anni di contratti a termine: borse di studio, co.co.co, consulenze, contratti a progetto, l’ultimo presso l’Istituto di geneti­ca dell’Università di Pavia. Rita Cle­menti, 47 anni, la ricercatrice che ha scoperto l’origi­ne genetica di alcune forme di lin­foma maligno, in una lettera in­dirizzata al presidente della Re­pubblica Napolitano racconta la sofferta decisione di lasciare l’Ita­lia. Da mercoledì 1˚luglio lavorerà come ricercatrice in un importan­te centro medico di Boston.

"
È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no.
Se il malcostu­me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con­seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi­tà e gli enti di ricerca come feu­do privato e che così facendo distruggono la ricerca. Con molta amarezza, signor presidente, la saluto. Rita Clementi".

sabato 27 giugno 2009

Piccole rivoluzioni.


Cade un tabù, arriva la prima gondoliera in Laguna
Giorgia Boscolo, 23 anni, ha superato l'esame di ammissione e frequenterà la scuola da sostituto gondoliere

(Il Corriere della sera)

venerdì 26 giugno 2009

Iran: la rivolta è delle donne.


Revolte der Frauen

Sie demonstrieren für einen Regimewechsel, sie attackieren schwerbewaffnete Polizisten - und sie werden brutal geschlagen. Iranerinnen stehen bei den Unruhen an vorderster Front. Ihr Einsatz beweist, dass das westliche Bild der Frau im Gottesstaat längst überholt ist.

(Der Spiegel)


Partecipano alle dimostrazioni per un cambio di regime, attaccano i poliziotti pesantemente armati - e vengono picchiate con brutalità. Le donne iraniane stanno nella rivolta in prima fila. Il loro impegno dimostra che il ritratto orientale della donna (ridotta) in una condizione di servigio è stato da tempo superato.
I filmati amatoriali riprendono donne nel mezzo della protesta. Se ne viene ripresa una, è una su migliaia.


"New York Times"-Kolumnist Roger Cohen berichtete in einer Reportage aus der iranischen Hauptstadt darüber, wie Frauen "die weniger tapferen Männer anstacheln". Er habe gesehen, wie Frauen von Sicherheitskräften geschlagen wurden, nur um sich wenig später wieder den Protesten anzuschließen. "Warum sitzt ihr noch da?", habe eine der Demonstrantinnen einer Gruppe Männer zugerufen. "Steht auf! Steht auf!".

Roger Cohen, firma del New York Times, ha raccontato in un reportage fuori dalla capitale irachena, come le donne "incitino gli uomini meno coraggiosi". Egli ha visto come le donne vengano picchiate dalle forze di sicurezza per poi riunirsi alle fila dei protestanti. "Perchè siete ancora qui seduti?" - Cohen ha sentito chiedere da alcune dimostranti a un gruppo di uomini - "Alzatevi! Alzatevi!".


Tra di loro anche Sahra Rahnward, 64 anni, moglie di Mussawi che non ha mancato una mobilitazione.

Öffentlich prangerte sie alltägliche Tschadorkontrollen durch patrouillierende Sittenwächter als "grob und abscheulich" an. Sie hielt vor laufender Kamera Händchen mit ihrem Ehemann - für iranische Verhältnisse ein Tabubruch.

Ha sfidato pubblicamente ogni giorno i controlli del chador delle pattuglie di sorveglianti definendoli "grossolani e odiosi". Stava davanti alla telecamera con il marito - la rottura di un tabù per le consuetudini iraniane.


"Die Frauen haben schon vor den Protesten für ihre Rechte gekämpft, obwohl sie inhaftiert und gefoltert wurden", sagt die Exil-Iranerin Nazanin Afshin-Jam im Interview mit SPIEGEL ONLINE. "Jetzt wehren sie sich gegen die Milizen. Das ist wirklich sehr eindrucksvoll. Die Frauen sind eine der stärksten Kräfte in Iran, die große Veränderungen bringen werden."

"Le donne hanno già combattuno per i loro diritti prima delle proteste, nonostante siano state arrestate e torturate" - dice l'iraniana in esilio Nazanin Afshin-Jam - Adesso si difendono dalle milizie. Questo è davvero impressionante. Le donne sono una delle forze più dure che stanno portando in Iran il grande cambiamento".


Giovanna Boglietti
Margherita Hack e Dacia Maraini hanno aderito - Oltre 8500 firme

Appello di donne alle first ladies:
"Non venite al G8 italiano"

(MicroMega)


Siamo profondamente indignate, come donne impegnate nel mondo dell’università e della cultura, per il modo in cui il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, tratta le donne sulla scena pubblica e privata.Non ci riferiamo solo alle vicende relazionali del premier, che trascendono la sfera personale e assumono un significato pubblico, ma soprattutto alle modalità di reclutamento del personale politico e ai comportamenti e discorsi sessisti che delegittimano con perversa e ilare sistematicità la presenza femminile sulla scena sociale e istituzionale. Questi comportamenti, gravi sul piano morale, civile, culturale, minano la dignità delle donne e incidono negativamente sui percorsi di autonomia e affermazione femminili.Il controllo che Berlusconi esercita sulla grande maggioranza dei media italiani, in spregio a ogni regola democratica, limita pesantemente le possibilità di esprimere dissenso e critica. Risulta difficile, quindi, far emergere l’insofferenza di tante donne che non si riconoscono nell’immagine femminile trasmessa dal premier e da chi gli sta intorno. Come cittadine italiane, europee e del mondo, rivolgiamo un appello alle first ladies dei paesi coinvolti nel prossimo G8 dell’Aquila perché disertino l’appuntamento italiano, per affermare con forza che la delegittimazione della donna in un paese offende e colpisce le donne di tutti i paesi.
Chiara Volpato (Professore Ordinario – Università di Milano-Bicocca)Angelica Mucchi Faina (Professore Ordinario – Università di Perugia)Anne Maass (Professore Ordinario – Università di Padova) Marcella Ravenna (Professore Ordinario – Università di Ferrara)


L'appello sulla stampa estera: New York Times - Times - El País -Daily Telegraph - El Mundo

Gli Obama in Italia, acqua sul fuoco.


Le figlie accompagneranno lei e Obama a Roma per il G8

Nuovo ruolo politico per Michelle Obama

La First Lady intende diventare un'ambasciatrice del marito negli Usa per favorire l'integrazione razziale

(Il Corriere della Sera)

Vent'anni in Italia non fanno un italiano. Se italiano non è più sinonimo di uomo buono.

Limbiate, pestaggio a sfondo razzista contro il padre della scrittrice Ghazi

Per una banale questione di parcheggio una famiglia di cinque persone si è accanita ferocemente sull'egiziano

(Il Corriere della sera)

Senza parole Randa Ghazy, 22 anni, figlia di Ibrahim e autrice di tre libri, l’ultimo dei quali – "Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista" – è un romanzo dedicato alle difficoltà di integrazione degli immigrati di seconda generazione. «Un accanimento del genere lascia scioccati. Mio padre è una persona onesta e pacifica, rigorosa nel rispettare i diritti degli altri, non si meritava una cosa del genere, e oltre al dolore fisico ora si porta dietro un senso di offesa e umiliazione. La nostra identità non cambia, siamo sempre italiani. È la fiducia nei confronti degli altri ad essere profondamente danneggiata. Ora spero che la giustizia faccia il suo corso e punisca severamente questa ferocia. Altrimenti lo sconforto e il senso di ingiustizia minano gravemente le persone che la subiscono e la loro fiducia e il loro amore per il Paese in cui hanno scelto di vivere».

giovedì 25 giugno 2009


Ordinata la riapertura del processo contro del gruppo di ceceni accusati di aver ucciso la giornalista "scomoda", che non piaceva al governo e al presidente russi

L'omicidio di Anna Politkovskaia
Corte Suprema: assoluzioni nulle

(La Repubblica)

La decisione della giuria aveva provocato lo sdegno e la delusione dei colleghi della giornalista, famosa per le sue critiche aperte all'allora presidente Vladimir Putin e per le sue denunce della violazione dei diritti umani nel conflitto ceceno. "Fin dall'inizio sarei stato d'accordo con qualsiasi decisione dei giurati, che apparivano persone molto preparate e serie - aveva dichiarato Dmitri Muratov, direttore di Novaia Gazeta, il giornale per cui lavorava Politkovskaia - Ma devo dire che il caso non sarà chiuso, e che la principale inchiesta è ancora in corso".


INTERVISTA: Il ricordo di Milana Terloeva, l'erede di Anna Politkovskaia: "Era una donna unica che, malgrado le minacce, non ho mai indietreggiato. E' morta perchè ha dato la sua testimonianza. Se io ho paura? Mi sono detta che quello che posso fare per il mondo è parlare e raccontare".
(YouReporter.it)

mercoledì 24 giugno 2009

Ribellione contro gli estremisti



Messico, no alla Francia: la Cassez resta in carcere
Il presidente Calderón rifiuta l'estradizione. Anche Carla Bruni aveva chiesto clemenza

(La Repubblica)

Florence Cassez sconterà i 60 anni in galera in una prigione messicana. Prendendo in contropiede l'Eliseo, il presidente messicano Felipe Calderón ha escluso qualsiasi possibilità che la ragazza francese — colpevole di sequestro di persona — possa essere estradata. Una decisione accolta con «sconcerto» e «molto disappunto» dal governo francese, sotto pressione per una forte campagna di mobilitazione con il coinvolgimento di Carla Bruni e Ingrid Betancourt. «Per me è la morte», è stata la reazione dalla cella di Florence.



(Times on line)


Il bestseller del 1973 Carrie's War andrà in scena questa sera all'Apollo Theatre di New York City. In platea siederà la sua autrice, Nina Bawden, la scrittrice londinese ottantenne che da anni si batte contro l'ingiustizia della burocrazia inglese, per difendere i diritti dei famigliari delle vittime dell'incidente ferroviario di Potters Bar, che la vide coinvolta con il marito Austen. Lui morì, lei restò gravemente ferita, per sempre.

“All writers make use of their own tragedies. Sometimes it’s a way of enduring”, ha commentato Bawden.

Tutti gli scrittori fanno uso delle loro tragedie. A volte è un modo per sopravvivere.