giovedì 24 giugno 2010

Gianna-bavaglio. La Nannini zittita non può parlare delle difficoltà degli aquilani

Il Gianna-bavaglio. In tempo di intercettazioni e rivendicazioni di libertà di stampa entra in scena la rock star più amata, Gianna Nannini.
Gianna Nannini, ospite a Matrix, presenta il dvd "Amiche per l'Abruzzo", nato dal collage di immagini del concerto di beneficienza tenuto all'indomani del terremoto dell'Aquila con altre ugole d'oro italiane: Laura Pausini, Fiorella Mannoia e Giorgia. Ma la Nannini non ci sta, vuole parlare degli aquilani.
L'incipit allora cambia: Gianna Nannini zittita a Matrix da Alessio Vinci, per aver toccato un nervo scoperto. Sì perchè a lei va di raccontare della manifestazione del 16 giugno all'Aquila taciuta dai media. Evento che ha portato in piazza 15mila persone, ma che è stato "snobbato" dai giornalisti, sempre meno impegnati nel fare luce nella penombra.
Le domande della Nannini coinvolgono il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, che non fa in tempo a ribattere (proprio il 24 giugno, il giorno dopo il Gianna-bavaglio, a Roma si è tenuto il Consiglio comunale straordinario dell'Aquila, con annesse proteste per l'oscuramento della notizia da parte del Comitato 3.32 davanti alla sede Rai).
Molti aquilani vivono nel disagio, l'ultima impresa sono le tasse da pagare che non guardano in faccia alle calamità. Protestano, ma sanno di non esser presi in considerazione e non credono ai mezzi di comunicazione. Lo denunciava Maria Luisa Busi, sconcertata per il dissenso mostrato mesi fa dai terremotati verso la sua troupe del Tg1. La Rai non si è interessata all'iniziativa "Amiche per l'Abruzzo" e sul direttore pesano sempre più dure le critiche di servilismo. Matrix altro non era che marchetta pubblicitaria del dvd? Quel che è certo è che nessun approfondimento (doveroso) per diritto di cronaca era ammesso. Lontano dalle considerazioni politiche, che pure influenzano spesso il lavoro di chi fa informazione, è il giornalismo a dover credere in se stesso. Per farlo, c'è bisogno di ritrovare un'etica.
Il video del Gianna-bavaglio (guarda).
Giovanna Boglietti

Australia: prima donna premier. La laburista è Julia Gillard.


Nessun figlio. Un compagno, Tim Mathieson, che di professione fa il parrucchiere. Un padre che dalle miniere del Galles si trasferì ad Adelaide, in Australia, per curare i problemi ai polmoni, dei quali Julia ha sempre sofferto. E il sogno nel cassetto di diventare professoressa, che fu accantonato per richiesta di un’amica: “Julia, tu sei portata per il dibattito, ti vedrei bene a studiare diritto”.


Detto fatto. Julia Gillard non è solo diventata avvocato: da questa mattina, è lei a occupare il posto di premier del governo australiano. Una donna al comando che ha alle spalle una lunga gavetta, a partire dal 1987 quando si laureò all’Università di Melbourne per poi muovere i primi passi nel diritto in ambito industriale. Labor Club, Australian Union of Students, l’organizzazione Socialist Forum, il Ministero Ombra per la popolazione e l’immigrazione (2001-2003) e in seguito per la Salute (2003-2006). Fino al 2007, l’anno delle elezioni vittoriose per il Labor Party. Gillard è ministro di tre portfolios: Minister for Education, Minister for Employment and Workplace Relations, Minister for Social Inclusion. In sostanza, Ministro per l’Educazione, carica per la quale ha stretto ancora di più i rapporti con Washington, per un progetto comune.


Prima donna premier nella storia dell’Asutralia, ha vinto il confronto con l’ex primo ministro Kevin Rudd, che aveva indetto un “leadership spill” (causa calo di consensi), per verificare l’appoggio del partito laburista al governo. Sfida suggerita con pragmatismo tutto femminile proprio da Julia Gillard: “Le cose vanno risolte in fretta”. Risolte o rivoluzionate, come in questo caso: Gillard affascina giornali e social network (Facebook e Twitter ancora protagonisti, ma Julia raccomandò già la "cura" dei media alle Labor Women con la fondazione EMILY'S List) ha già giurato e governerà l’Australia fino alle prossime elezioni, che potrebbero essere anticipate per consentire agli elettori di scegliere direttamente il loro nuovo premier.


Un assestamento “ballerino”, che vede le donne in politica come in altri ambiti ricoprire ruoli di leadership solo a tempo determinato. Ma dalle donne determinate bisogna guardarsi le spalle. Lo insegna la stessa Gillard, che si è distinta per merito: nel 2007 era stata eletta prima donna vice primo ministro, ma a poche settimane dalla nomina, ha potuto sperimentare l’esperienza da premier per alcuni giorni sostituendo Rudd, impegnato nella conferenza sul clima dell’ONU organizzata a Bali.


Occhio alle donne: mentre in Italia ancora si discutono liste costruite con (pochi) volti femminili di facciata, nel mondo la posta in gioco è alta. Oggi è tempo di Julia Gillard, l’altro giorno lo è stato per la doppietta finlandese Mari Kiviniemi (primo ministro) e Tarja Kaarina Halonen (presidente della Repubblica), un anno fa si parlava del primo ministro ad interim d’Islanda Johanna Sigurdardottir. Storia recente, storia rosa.



Giovanna Boglietti

lunedì 21 giugno 2010

Liberate e sterilizzate. La Francia sdogana l'arma definitiva contro la natalità

Sfuggire serenamente alle gravidanze è una bella preoccupazione per le femmine moderne. La pillola contraccettiva crea un sacco di problemi, dei metodi naturali nemmeno a parlarne, e perfino la spirale dà parecchi fastidi. Meglio allora una soluzione definitiva e non pensarci più. Il suggerimento arriva dal Monde l’ultimo endorsement accorato alla sterilizzazione. Che nel mondo, spiegano sul quotidiano francese, è “il metodo contraccettivo più usato”. Certo, come contraccettivo la sterilizzazione funziona benissimo, e una volta per tutte, e ben lo sanno le donne dei paesi terzi che spesso sono fermamente “invitate” a ricorrervi. Guarda caso, però, è ancora poco diffusa nei paesi sviluppati. In Francia l’ha scelta soltanto il 2,3 per cento delle donne e l’1,3 per cento degli uomini (32.100 femmine e 1.600 maschi nel 2006). Pochini, secondo l’Inspection générale des affaires sociales (l’Igas, organismo dipendente dal ministero della Salute francese), che ha parlato della sterilizzazione come della “grande assente dal panorama contraccettivo francese”.

E’ tutta colpa dei ginecologi, scrive il Monde
– che invece dovrebbero dire con chiarezza alle loro pazienti: “Ecco, qui abbiamo pillole varie, marchingegni rimovibili o la sterilizzazione, che le consiglio caldamente”. Alcuni di loro “sono perfino ostili”. A sentire il Mouvement français pour le planning familial pare alla sua porta ci sia un pellegrinaggio ininterrotto di donne che vogliono sapere a quale medico rivolgersi per risolvere la questione fertilità una volta per tutte. Prima della legge del 2001, che autorizza in Francia la sterilizzazione di maggiorenni, “questa pratica era considerata una mutilazione”, ha detto al Monde una ginecologa-ostetrica che sterilizza donne da molti anni. Oggi invece è vista come “un grande progresso”.

La rivoluzione arriva da una nuova tecnica, che non prevede bisturi né anestesia né ormoni. Archiviata l’obsoleta operazione che dava veramente un taglio (o un nodo, alle tube di Falloppio, che in qualche raro caso permetteva però un ripensamento e il ritorno alla fertilità) la nuova sterilizzazione prevede un sistema chiamato Essure. Si tratta, come spiega l’azienda produttrice, di “micro-inserti morbidi e flessibili”. Tappi, in pratica. La “procedura” si fa anche in ambulatorio e “la maggior parte delle donne riprende le normali attività entro un giorno”. Dopo tre mesi, se i tappi funzionano e non è successo niente di strano, la sterilizzazione è definitiva e indietro non si torna. Da quando questo metodo è comparso in Francia, all’inizio degli anni Duemila, “ha contribuito – scrive il Monde – all’eliminazione dei tabù in merito alla sterilizzazione come contraccettivo”. Come se, complice la scomparsa dei ferri del chirurgo, le donne francesi avessero smesso di pensare alla sterilizzazione come a una mutilazione.


Per Sophie ad esempio, 43 anni e quattro figli, la sterilizzazione non è stata “un attentato alla femminilità”, ma una svolta epocale. Anni fa si era stufata di imbottirsi di pillole, non le piacevano gli effetti collaterali della spirale e quando ha provato a usare il conteggio dei giorni sul calendario è rimasta incinta del quarto figlio. Dopo l’intervento lei e il marito si sono lasciati, Sophie ha ripreso a lavorare dopo dieci anni da casalinga disperata e ha incontrato un altro, con cui ha “una relazione meravigliosa”. Da quando è diventata irrimediabilmente sterile per scelta, ha raccontato al Monde, la sua nuova vita è tutta un brivido, uno stravolgimento. Ha “riscoperto” la sua femminilità, ha relazioni sessuali appaganti e senza l’ansia di poter rimanere incinta.

Proprio come piace alla sua conterranea Élisabeth Badinter, la filosofa con figli e nipoti che in “Le conflit. La femme et la mère” invoca la liberazione dalla schiavitù della prole, preconizza che un giorno la maternità sarà appannaggio delle donne povere e ignoranti (“culturalmente, socialmente, professionalmente sfavorite”, nel suo politicamente corretto) e sostiene che le donne che rifiutano di avere figli siano più libere e più toste, perché tengono testa alle “ingiunzioni dei maternalisti” e si sono fatte due conti fra costi e benefici. La sterilizzatrice seriale sentita dal Monde ha detto che per la prima volta ha praticato un intervento su una donna che non ha mai avuto figli. Lei aveva quarant’anni, su una venticinquenne non lo avrebbe fatto, ma in generale bisogna pur sempre tenere a mente, dice, “che sta alla donna decidere quello che è meglio per lei”.

(Valentina Fizzotti, Il Foglio.it)

domenica 13 giugno 2010

Laura Pollan riavrà il marito accanto a sé.
La battaglia delle Damas de Blanco cubane


Laura Pollan vince una battaglia, ma non la guerra. Tra i prigionieri politici che il governo di Cuba ha deciso di “graziare”, a modo proprio, c’è anche il marito della leader delle Damas de Blanco, il giornalista Hector Maceda.


Il governo cubano ha concesso la libertà condizionata a un prigioniero politico paraplegico, Ariel Sigler, e ne trasferirà altri sei, membri del “Gruppo dei 75” come Hector Maceda, in centri penitenziari situati nelle loro province d'origine. I detenuti saranno, così, più vicini alle loro famiglie: un piccolo passo verso le rivendicazioni che da anni scuotono l’isola di Cuba.


L'iniziativa resta comunque un “gesto politico umanitario” nell'ambito del dialogo avviato tra le autorità comuniste e la Chiesa Cattolica. Cuba è sotto pressione da fine febbraio, ovvero dalla morte del prigioniero Orlando Zapata, 42 anni, avvenuta a seguito di uno sciopero della fame.


Laura Pollan dovrà continuare a manifestare alla testa delle Damas de Blanco, però si è detta molto felice dell’iniziativa del governo cubano e ha ringraziato la Chiesa Cattolica per la mediazione a favore dei prigionieri. Ha aggiunto che non si aspettava la liberazione di Maceda, rinchiuso a scontare una condanna di 20 anni in una prigione a Villa Clara, con Ariel Sigler.


Il "Gruppo dei 75" fu arrestato durante la "Primavera Negra" del 2003 e i suoi membri dissidenti sono stati condannati a pene fino 28 anni, con l'accusa di essere "mercenari" al servizio degli Stati Uniti.


Le "Dame Bianche" – delle quali ho già scritto nel post "Sperando di vederti dipinto d'azzurro" - sono familiari dei dissidenti incarcerati nella Primavera Negra del 2003. Da anni protagoniste di marce pacifiche organizzate la domenica nella capitale cubana. Le donne sfilano tutte vestite di bianco e con gladioli in mano, simbolo di liberazione.



Giovanna Boglietti

giovedì 10 giugno 2010

Pari o Dispare: il Comitato impegnato per le Donne

Ne parla Gad Lerner sul suo blog. Ne parla Lorella Zanardo sul sito de "Il Corpo delle Donne". Ne sta parlando Emma Bonino che, proprio con Lorella Zanardo, mette la faccia all'idea del Comitato "Pari o Dispare". Il nome, come si dice, è tutto un programma.

Donne sì, ma con pari diritti: sembra una sfida impossibile, in una Italia in cui anche il corpo della Croce Rossa sta subendo una metamorfosi estetica. Si veda "Il cavaliere fa il miracolo delle crocerossine" Tre anni dopo le infermiere di Prodi, articolo apparso su "Libero" il 9 giugno 2010.

Crocerossine a parte, per le donne resta la necessità di imporsi nel mondo del lavoro attraverso un progetto strutturato. Sul sito del Comitato Pari o Dispare sono elencati gruppi di lavoro nati per coprire qualunque ambito: progetti speciali, lavoro e welfare (armonizzazione lavoro, donne e leadership), media e stereotipi (Osservatorio nell'area media).

"Siamo consapevoli che i territori esterni al mondo della casalinghitudine e della famiglia sono territori definiti, classificati, regolati dal genere maschile nel quale veniamo considerate, definite classificate visitatrici, ospiti, tollerate, ma mai padrone e dominae?"

Questa è una delle rivendicazioni dei gruppi di lavoro del Comitato. Lavoro al quale non partecipano solo professioniste o esperte della comunicazione, ma che può essere seguito e rafforzato da tutte le donne che si identificano nella causa (e come non riuscirci?).

Per saperne di più, rimando al video di presentazione pubblicato sul sito de "Il corpo delle donne":

http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=2947

E al sito ufficiale del Comitato Pari o Dispare:

http://www.pariodispare.org/index.php.


Giovanna Boglietti

martedì 8 giugno 2010

Passante e Musa

La via assordante attorno a me urlava.

Alta, sottile, in lutto, dolore maestoso

una donna passò con la mano fastosa

sollevando orlo e balza, facendoli oscillare;

agile e aristocratica, con la sua gamba di statua.

Io, io contratto come un maniaco, bevevo

dai suoi occhi, cielo livido gonfio di bufera,

la dolcezza che affascina e il piacere che uccide.

Un lampo, poi la notte! - Fuggitiva beltà

il cui sguardo in un attimo mi ha risuscitato,

ti rivedrò soltanto nell'eternità?

Lontano, chissà dove! troppo tardi! forse mai più!

Poiché non so dove tu fuggi, né tu non sai dove io vado,

o tu che avrei amata, o tu che lo sapevi!



Charles Baudelaire, "A una passante"

lunedì 7 giugno 2010

C'era una volta la convivenza


Se i soldi non fanno la felicità, è pur vero che possono sull’Amore. Specialmente sull’amore con la “a” maiuscola. Sono i soldi, infatti, a determinare sempre più l’evoluzione della storia di una coppia. Non parliamo di sentimenti, che restano “geneticamente immodificabili”, ma di matrimoni posticipati a data da definirsi, fidanzamenti lunghi quasi quanto matrimoni (sempre meno duraturi, a Torino il primato nazionale per i divorzi) e soprattutto di convivenze azzardate. Azzardate sì, perché anche la convivenza, considerata da sempre un passo verso il consolidamento di un rapporto, in tempo di crisi non ha vita facile, per non dire vita breve.

Quando sono giovani coppie a convivere, poi, la risposta che si sente è una sola: “Conviviamo perché abbiamo iniziato presto a lavorare”. Proprio il lavoro sembra essere il filo conduttore dei racconti diversi che alcuni ragazzi ci hanno fatto in tema di convivenza.


Francesca ha 25 anni, Santo 26. Convivono a Rivalta da un anno e mezzo e per un anno e mezzo sono stati fidanzati. Dicono che la loro è stata follia: “Vivere insieme per noi significava essere indipendenti e poter condividere qualsiasi momento della giornata – spiega Francesca – Devo ammettere che sulla convivenza avevamo due visioni diverse: io mi sarei sposata subito, perché sono molto credente; lui, invece, preferiva creare le giuste fondamenta sia a livello economico che di relazione, perché convivere significa conoscere a fondo una persona, cosa che non permette un fidanzamento. In pratica, ci sentiamo già marito e moglie, ma tra un anno ci sposeremo”.

Il loro matrimonio arriva dopo tanti sacrifici: “Ci possiamo permettere un bel matrimonio adesso, ma continuiamo a risparmiare. Io lavoro nell’azienda di costruzioni di famiglia, per farla crescere mi decurto lo stipendio e investo il resto. Porto a casa sui 1.000 euro al mese – racconta Santo – Lei faceva qualche lavoretto per mantenersi gli studi universitari in Comunicazione interculturale, ma ha deciso di interromperli per un po’ e trovare un impiego stabile. Ha cambiato quattro lavori, adesso fa quello che sognava, la maestra d’asilo, e sta finendo gli esami. All’inizio arrivare a fine mese era difficile: tra viveri, bollette, affitto e assicurazione o pieno per la macchina se ne andava via uno stipendio, più di 700 euro. L’appartamento era già arredato e i nostri genitori ci hanno regalato qualcosa come il divano o il microonde, ma non abbiamo mai voluto far pesare la nostra scelta su di loro”.


Francesca e Santo sembrano determinati, una coppia solida, e secondo loro questo è l’ingrediente essenziale per superare le difficoltà. C’è chi come Alessandra, 25 anni laureata in Economia, ha preferito finire gli studi ma non riesce a concretizzare la sua storia con Matteo, 26. Anche nel loro caso, Matteo lavora da tempo, nella gastronomia di famiglia: “Vorremmo almeno vivere insieme, dopo sette anni di fidanzamento. Lui preme per sposarsi e avere dei figli, ma rischiamo di non farcela. Io sono impaziente di trovare un lavoro serio, basta stage che si rivelano una perdita di tempo”. E pensare che Alessandra avrebbe un appartamento tutto per loro, di proprietà dei genitori: “Da ammobiliare, però. E come fare con le spese, se io porto a casa zero euro? No, dobbiamo partire con delle certezze”.


Non è detto che il lavoro sia una garanzia; alle volte divide. Lo sa bene Massimo, 25 anni, che ha visto andare in fumo la sua convivenza lunga tre anni con Carolina, 24, dopo 2 anni di fidanzamento: “Ci siamo conosciuti all’Accademia delle Belle Arti, ma abbiamo lasciato gli studi per lavorare. Vivevamo insieme; io facevo l’operaio, lei ha aperto una bottega di restauro. Quello che ci ha permesso di andare a convivere è il gruzzolo che avevamo risparmiato grazie a lavoretti saltuari, ma i ritmi di lavoro sono stati fatali. Lei poi alla sera ha iniziato a lavorare in un pub, è stata la fine. Abbiamo perso la routine quotidiana, che non è noiosa quando serve a creare condivisione”. Massimo e Carolina hanno pianificato la separazione e il trasloco di lei: “Paradossale, dormivo con una persona che avrei lasciato. Gli amici ci hanno aiutato con il trasloco, alla fine non c’erano più il comodino, il tavolo, una poltrona, quello che le apparteneva: in pratica mancava metà della casa, la mia metà. In questo la fine della convivenza è traumatica quanto il divorzio”. Ma qui i soldi c’entrano poco, qui davvero sono i sentimenti a fare la felicità.


Giovanna Boglietti

mercoledì 2 giugno 2010

La terra di nessuno e l'inferno di tutti

La nostra Italia ingobbita, inconsapevole ma unita. Dobbiamo il nostro Paese al sacrificio di piccoli uomini coraggiosi. E sono loro ad essere ricordati il 2 giugno, festa della Repubblica. Eppure quest'anno, davanti a una ricorrenza che si ripete quasi timidamente, c'è Israele e il sangue, ancora una volta se non fosse bastato, su una terra che resterà la terra di nessuno. E l'inferno di tutti.


Da "Il fatto quotidiano", 2 giugno 2010. Manuela Dviri (scrittrice e pacifista italo-israeliana):
Tel Aviv. Stanca di parlare dell'orrore di questi giorni, stanca di sognarmelo la notte, ogni notte in modo diverso e sempre orribile. Dicono che il nostro ministro della Difesa, Ehud Barak, sia un genio, che sappia smontare un orologio in pochi secondi. Può essere. Ma di certo, poi, non sa come rimontarlo. E no, la carneficina non è stata creata a tavolino, nonostante da lontano sembri forse altrimenti... e i soldati mandati allo sbaraglio sono vittime dei nostri politici esattamente come lo siamo noi civili. Troppi anni (43) di occupazione ci hanno ridotto così: semplicemente stupidi , militarmente stupidi, politicamente stupidi e adesso anche attoniti e spaventati davanti al disastro, isolati nel mondo e davanti al mondo.

È difficile per me, in questi giorni, essere israeliana, anche se questa è la terra che amo e amerò sempre, la terra in cui ho scelto di vivere tanti anni fa, la terra che mi ha portato via un figlio, proprio dodici anni fa, la terra che non potrò mai lasciare, in cui sono nati e vivono i miei figli e i miei nipoti. Che ne sarà del loro futuro? In queste ore c'è sciopero generale dei palestinesi israeliani; davanti ai consolati e alle ambasciate israeliane del mondo intero, dimostrazioni di protesta. I rapporti con la Turchia, un tempo preziosa alleata, sono tesissimi. Il mondo ci tratta da appestati. La flottiglia era chiaramente una provocazione e molti di quelli che erano a bordo non erano dei santi, ma non era una flotta di navi di pirati e Gaza non è la Somalia. Se proprio la si voleva allontanare perché attaccarla nelle acque internazionali? Che fretta c'era? Le domande sarebbero tante... sul come e il perchè.

Adesso è iniziato il solito balletto delle giustificazioni e dello scambio d'accuse più o meno velate tra l'esercito e i politici, accompagnato dal coro degli esperti, tutti naturalmente ex politici ed ex generali. Dicono, adesso, che la nave era troppo grossa, che non la si poteva fermare in altro modo. Che a bordo c'erano terroristi, che i nostri soldati erano in pericolo di vita.

E se si chiedessero cosa sarebbe successo se quel folle attacco non fosse semplicemente avvenuto? Se in un atto di vera politica, di intelligenza, lungimiranza, creatività e di normale buon senso, li si fosse semplicemente fatti entrare, gli attivisti, con un uno di quei grandiosi gesti inaspettati che poi passano alla storia, per rompere, insieme, l'assedio, l'inutile e terribile assedio che ha tenuto per questi anni un milione e mezzo di abitanti di Gaza chiusi ermeticamente in una prigione a cielo aperto, senza dare a noi, che siamo dall'altra parte, alcun vantaggio?

Dopo tutto, quell'assedio, figlio dell'ossessione militare e politica al Dio della sicurezza, ci costringe a vivere, noi stessi, in un infinito stato d'assedio, chiusi in un invisibile fortino, isolati e condannati dai popoli. Adesso dicono che bisogna spiegare al mondo le nostre ragioni... Non c'è nulla da spiegare. C'è solo da fare. C'è da ritirarsi finalmente, e per sempre, dai territori. E da Gaza.