sabato 30 ottobre 2010

Tanti "amano le donne"

"Viene il sospetto che la principale ragione per salire su un palco con un megafono in mano sia il narcisismo. La classe politica non viene da Marte, è il ritratto dell’Italia, i politici siamo noi".


(Paolo Villaggio, Storia della libertà di pensiero)

Uomini indignati dalla frase che rimbalza su giornali, televisioni e internet. Post accesi sui social network. Ma ci avete mai pensato? Il 90 per cento gli uomini nella sua vita quotidiana si giustifica così. Dicendo a occhi sgranati: "Cosa posso farci se io amo le donne? Tutte!": le donne non si "amano", cari italiani, si rispettano. Lasciate l'Amore alle donne.

giovedì 14 ottobre 2010

Saudiwoman: oltre il velo. Quello del silenzio.

Saudiwoman’s Weblog. Dietro a questo diario interattivo scrive Eman, una donna saudita che affida alla rete racconti e descrizioni sulla sua vita di moglie e madre in un Paese che non riconosce la dignità di essere femmina.

Eman, dicono in molti, è una delle migliaia di donne che hanno invaso internet per denunciare al mondo le restrizioni imposte dallo Stato più conservatore al momento esistente, l’Arabia Saudita. Il blog registra 500 visitatori al giorno: Eman ha studiato negli Stati Uniti e una volta tornata a casa ha voluto affrontare gli “stereotipi” che vincolano le donne arabe.

Scriveva di lei, pochi mesi fa, Francesca Caferri per Repubblica.it (leggi l’articolo): "Apartheid di genere", "stato di schiavitù", lo definiscono in privato molte donne saudite: un muro che per decenni ha dominato incontrastato ma sul quale Internet e delle nuove tecnologie stanno aprendo crepe importanti.

Donne che possono uscire se accompagnate, donne alle quali non è permesso guidare, donne che indossano i veli integrali perché così preferiscono i loro mariti, ma donne che scioperano per lo shopping di lingerie contro i commessi uomini e che – in poche forse – cercano di frenare il fenomeno delle spose bambine. Lo si legge proprio nell’ultimo post del blog di Eman, datato 9 ottobre 2010: I’ve been wanting to write this post all day but I just couldn’t get myself to do it”.

All’inizio anche per Eman è stata la resa. Non riusciva a scrivere delle spose bambine, e per farlo doveva preparare se stessa, passare dentro al dispiacere, andare oltre il suo ruolo di spettatrice impotente. Lei, 34 anni, madre di 3 figli.

La storia che Eman racconta è quella di una bambina di 13 anni di Najran “venduta” – sottolinea – ad un uomo di 50. Tutta la famiglia era contraria, ma niente ha smosso il padre nella sua decisione: una figlia per una macchina nuova. Questo il segreto dello scambio. La storia “finalmente” viene riportata dalla stampa saudita: il matrimonio s’è consumato soltanto dopo due mesi e mezzo e per intervento della madre dello sposo che “vedeva la moglie così fragile, che non sapeva come comportarsi con lei” e che si è preparato due settimane prima per trovare il coraggio di fare sesso.

Scrive sul suo blog Eman: Since reforms have started the only thing that has been implemented is that women can book into a hotel without a male guardian’s permission. A small step but now the time is ripe for criminalizing wedlock pedophilia. And don’t give me that line that the prophet PBUH married Aisha when she was 9 years old. That’s disputed and historians have shown that she was actually 19”.

I tempi sono maturi per includere fra I crimini la pedofilia. E non si dica che Maometto sposò Aisha quando lei aveva 9 anni, perché – precisa Eman – è stato dimostrato che ne aveva 19.

Conclude la blogger: Women are still considered legally minors no matter how old they are, banned from driving, and at the mercy of their guardians when it comes to education, work, marriage, divorce and child custody. We need laws to instate our rights as human beings and protect our daughters from these horrors”.

Le donne sono considerate legalmente minori, non importa quanti anni abbiano, bandite dalla guida, in preda ai tutori quanto a educazione, lavoro, matrimonio, divorzio e custodia dei figli. C'è bisogno di leggi per istituire i nostri diritti di esseri umani e proteggere le figlie da questi orrori.



Giovanna Boglietti

martedì 5 ottobre 2010

Izzat: donne e onore

Bouchra è morta per non indossare il velo, Darin Omar perché lavorava in uno «scandaloso» call-center, Amal voleva andare dal parrucchiere e l’ha pagato con la vita. Dietro al nome tristemente noto ai media della pakistana Hina Salem, decapitata dal padre perché disonorata dal fidanzato italiano, c’è una lunga lista di giovani donne sconosciute che assaggiano sulla propria pelle lo scollamento tra la cultura d’origine e quella d’adozione.
«Le famiglie immigrate sperimentano in Italia un’identità dislocata, in patria godono del prestigio di chi lavora all’estero mentre qui non contano quasi niente», osserva Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dell’immigrazione all’università di Milano. Capita che la rispettabilità sociale valga bene una figlia: «Le buone alleanze matrimoniali rafforzano il prestigio familiare ed è ovvio che questo cozzi con la realtà delle seconde generazioni cresciute lontanissime dagli antichi usi. Qualche volta, per fortuna assai meno di quanto si pensi, un normale conflitto tra padri e figli sfocia in episodi come quello di Novi».
I dati sul nostro paese parlano di duemila spose bambine l’anno ma l’iceberg sta emergendo, conferma il demografo Alessandro Rasina: «Vedremo un aumento esponenziale della tensione, seppur non matematicamente destinata a esiti tragici. Come se non bastassero le seconde generazioni che hanno oggi 16, 17 anni, gli immigrati fanno molti figli e in breve tempo i giovani saranno assai più del 20% attuale della popolazione straniera».
Il matrimonio è inevitabilmente la linea del fronte, rito di passaggio per il mondo adulto da cui dipende l’identità etnica assai più di quella individuale. Soprattutto per alcune culture.
«In Pakistan tutta la società gira intorno all’izzat, che in urdu vuol dire onore, e la donna ne è lo scrigno», spiega il giornalista e mediatore culturale pakistano Ahmed Ejaz. Tradotto nella vita quotidiana singifica unioni forzate e padri-padroni. Ma non è una prerogativa delle comunità musulmane: «Il problema riguarda tutto il subcontinente indiano, Pakistan, India, Bangladesh. Vale a dire oltre 300 mila persone che quando aprono la porta di casa entrano in Asia e quando se la chiudono alle spalle sono qui in Italia».
Ci sono le vittime e i salvati. Ma quanti sono i sommersi? Secondo il ventisettenne marocchino Khalid Chaouki, responsabile della seconda generazione dei giovani del Pd e direttore del sito Minareti.it, sono parecchi: «Tra noi si discute molto di matrimoni forzati, Facebook aiuta e garantisce la privacy. L’Italia si prepari a sentirne parlare sempre più spesso ma non necessariamente quando è troppo tardi: le giovani donne immigrate sono battagliere».

sabato 2 ottobre 2010

Poligamia? Meglio poliginia.

“Comment nous nous sommes fait piéger”. Il settimanale di attualità francese Le Point ammette la leggerezza con riserva: tre dei suoi giornalisti sono sì caduti in trappola, ma con professionalità. In Francia, la notizia fa sorridere e pensare, tanto da essere ripresa da molti altri giornali, uno per tutti Libération. Le Point ha intervistato la moglie di un poligamo, promettendo ai lettori in copertina “tutto ciò che non si osa dire”. Ma ha osato troppo: la donna non esiste, la famiglia in questione neppure.
Se i giornalisti avessero incontrato la signora Bintou avrebbero scoperto che in realtà altro non era che Abdel, un ragazzo di 23 anni membro del collettivo AC le feu, nato dopo le rivolte del 2005: “Stanco di tutti i clichés sulle banlieue veicolati dai media” – scrive Libération – “Il ragazzo ne ha voluto testare l’affidabilità e i metodi di lavoro”. A farne le spese il team di professionisti, che avevano chiesto a Bintou un’intervista di persona, ma dopo vari rifiuti si sono lasciati convincere e hanno fatto tutto per telefono. Nessuna verifica, convinti della buona fede di una intermediaria di fama, Sonia Imloul, membro del Consiglio economico e sociale per l’Institut Montaigne che appena un anno fa ha presentato un rapporto sulla poligamia in Francia.
Al di là della dimostrazione “politicamente mirata” (il bersaglio è il giornalista Jean-Michel Décugis, autore del libro “Paroles de banlieues”?), è proprio l’idea di clichés diffusi Oltralpe su poligamia e banlieue (Corriere della Sera, 2005) o velo e integrazione ciò che emerge ancora una volta nella Francia di Sarkozy, sempre tesa.
Quali clichés? La signora Bintou diceva di non poter lasciare il marito poligamo, di non avere un lavoro, una casa, una famiglia vera. E che il figlio immaginario Samba pativa la situazione, andava male a scuola, le portava dei soldi frutto sicuramente di un furto. Del padre non c’era niente da aggiungere: “Le père, encore une fois, n’était pas là, se désole l’article” (Libération).
La Francia da sempre lotta contro la poligamia, come ha fatto con altrettanta insistenza contro il velo. Dal rapporto di Sonia Imloul emerge che sono poche le notizie sulla poligamia. Il ricongiungimento delle mogli dei poligami fu autorizzato dal Consiglio di stato francese nel 1980 in nome del multiculturalismo per poi essere definitivamente vietato con legge solo nel 1993. Un rapporto della commissione dei diritti dell'uomo stima il numero di famiglie poligame tra 16.000 e 20.000 per un totale di 200.000 persone. Non esistono però statistiche complete e precise sul numero di famiglie poligame in Francia, sulle loro condizioni economiche, pur essendo indispensabili per la gestione dei sussidi alle famiglie (basta pensare a un padre con 40 figli da mandare a scuola e che chiede una sola casa con 15 camere da letto).
E nel nostro Paese? Si legge che su oltre un milione di musulmani residenti in Italia circa 15 mila sono poligami. In Francia e in Germania le cifre sono superiori, arrivando a toccare i 100 mila casi nella terra di Voltaire e i 60 mila in quella di Goethe. In particolare quella francese, coi suoi 5 milioni, è la comunità islamica più vasta d'Europa.
Ad oggi la poligamia in Italia è punita dall'articolo 556 del Codice penale. E anche in alcuni Paesi musulmani la poliginia è oramai proibita. segnatamente nelle laiche Turchia e Tunisia e, più recentemente, anche in Marocco, con l'introduzione del nuovo Codice familiare, la "Moudawana". E c’è di più: è possibile che in Italia si possa diventare poligami più facilmente che in Marocco o in Turchia. Ci sono tre modi: o si sposa in patria la prima moglie e si sposa la seconda all'estero, nella propria ambasciata, senza denunciare il primo matrimonio, o ci si fa raggiungere dalla prima moglie con il ricongiungimento familiare, oppure si sposa la seconda moglie in moschea con il "matrimonio a tempo" Orfi non riconosciuto dallo Stato.
Anche se un caso particolare c’è stato: nel 2003 il tribunale di Bologna ha assolto un poligamo islamico ritenendo che la legge punisca quel reato (bigamia in questo caso) solo se compiuto sul territorio nazionale. Ecco spiegata la facilità di aggirare la questione in Occidente.
In Francia il dibattito, dopo il colpo all’inchiesta di Le Point, promette scintille. Tanto più che nel giugno scorso il capogruppo dell’Unione di centro al Senato, Nicolas About, ha presentato una proposta di legge per istituire un “reato di poligamia, di istigazione alla poligamia e, con circostanza aggravante, di frode alla previdenza sociale” (Il Manifesto).
Il dibattito si solleva parlando di libertà religiosa, l'islamica ammette questa usanza, e rispetto della legge. Va ricordato, per trovare risposta, che poligamia di per sé è un termine sbagliato. Si dovrebbe parlare sempre di poliginia: il matrimonio con più donne. Monopolio degli uomini, raro sfizio femminile. Condanna certa in alcuni Paesi, come le cronache – non tradite, purtroppo – raccontano.