giovedì 30 settembre 2010

Iran: Sakineh & co.

Carcere, torture e calunnie contro la rete delle attiviste iraniane

Shahrzad Kariman è riuscita finalmente a vedere sua figlia Shiva Nazar Ahari per pochi minuti nel Tribunale di Teheran dove la 26enne attivista dei diritti umani era stata condotta per essere processata. “L’abbiamo appena vista”, ha detto Kariman. “Solo il tempo di abbracciarla. Ma non abbiamo nemmeno potuto chiederle come era andato il processo”.
I capi d’imputazione sono gravissimi per l’Iran: muharebeh (guerra contro Dio). In teoria un reato punibile con la pena capitale, mai contestato prima ai dissidenti politici. Ma l’accusa forse più grave – negata sia dalla sua famiglia che dalla sua organizzazione – è quella di collusione con il gruppo Mujaheddin-e Khalq ritenuto dal regime un’organizzazione terroristica.
Secondo la sua famiglia Shiva Nazar Ahari condanna questo gruppo e il terrorismo. Arrestata due volte dopo le elezioni del giugno 2009 e detenuta nella famigerata prigione di Evin, Nazar Ahari, dal dicembre scorso non ha potuto comunicare con l’esterno.I loro volti visti da mezzo mondo.
Assieme a lei è stata arrestata Mahboubeh Abbasgholizadeh, attivista e cineasta che successivamente è riuscita a lasciare il Paese ed è stata condannata in contumacia a due anni e mezzo di reclusione. Nei 15 mesi trascorsi dalle elezioni-truffa, i volti di queste e di altre donne sono stati visti in tutto il mondo. Accanto ai loro ci sono i volti delle donne morte, come Neda Agha-Soltan, assassinata il 20 giugno 2009 durante una manifestazione di protesta. Oltre alle attiviste, altre donne iraniane sono diventate tristemente famose perché minacciate di essere giustiziate. Emblematico il caso di Sakineh Ashtiani, la 43enne madre di due figli condannata alla lapidazione per adulterio. È semplice la ragione per cui c’è uno stretto legame tra le donne che si battono per i diritti e Sakineh Ashtiani. Le loro storie riflettono aspetti diversi della tragedia iraniana: il ruolo delle donne e la reazione del regime pronto ad accusarle dei reati più inverosimili e a processarle senza garanzie.
Una cosa è certa: il Movimento Verde nato sull’onda delle elezioni del 2009 ha messo al centro della sua protesta i diritti delle donne. La dottoressa Ziba Mir-Hosseini, un’attivista che vive e insegna a Cambridge, sostiene che, considerata la storia dei diritti delle donne in Iran, era inevitabile che le donne fossero in prima linea nella lotta tra “dispotismo e democrazia. È una tensione esacerbata dal contraddittorio atteggiamento della Rivoluzione islamica del 1979 nei confronti dei diritti politici delle donne. Le leggi sulla parità di diritti in seno alla famiglia e in materia di divorzio introdotte dallo scià, furono abrogate dopo la sua caduta. La Rivoluzione islamica permise alle donne di continuare a votare, ma gradualmente tolse loro diritti con il pretesto di difendere il loro onore’”.
“Mohammad Khatami durante gli 8 anni di presidenza e di governo riformista istituì un ‘Centro per la partecipazione femminile’ grazie al quale il numero delle Ong femminili passò in Iran da 45 a oltre 500”, aggiunge Ziba Mir-Hoseini. “E si andò affermando nelle giovani generazioni il femminismo, parola che nei primi anni ’80 non poteva essere nemmeno bisbigliata.
Nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ahmadinejad, sebbene la campagna tutta al femminile “Un milione di firme” fosse riuscita a bloccare temporaneamente la riforma del diritto di famiglia voluta dal nuovo presidente che avrebbe reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, il ruolo sempre più attivo delle donne nelle manifestazioni di protesta finì per mettere le attiviste in rotta di collisione con i falchi del governo.“Le donne erano in prima fila ed è anche per questo che tra i principali obiettivi del governo c’è l’attacco ai diritti delle donne”, dice Maryam Namazie dell’organizzazione ‘Solidarietà con l’Iran’.Ma, con l’eccezione del premio Nobel Shirin Ebadi, l’attivismo delle donne in Iran era praticamente ignorato dagli organi di informazione internazionali prima del 2009.
Poi c’è stato il cosiddetto “effetto Neda” e il mondo ha cominciato a occuparsi delle donne che in Iran si battono per la democrazia.Un ultimo elemento è la condanna a morte per lapidazione di Sakineh. La vicenda ha dimostrato al mondo quanto le attiviste iraniane andavano dicendo da tempo, vale a dire che era in atto il tentativo di azzerare completamente i diritti delle donne. Arrestata a luglio 2009 mentre stava andando all’Università di Teheran, Shadi Sadr, avvocato, è stata rinchiusa nel carcere di Evin in isolamento e interrogata sulle attività dei movimenti femminili e sulle elezioni per poi essere incriminata di attentato alla sicurezza nazionale. Due giorni dopo l’inizio del processo Shadi Sadr è fuggita in Turchia. Parlando dei suoi tentativi di difendere Nazar Ahari, Shadi Sadr dice: “Non mi è mai stato permesso di vedere Shiva. Poi sono stata arrestata e, per ironia del destino, sono finita nella stessa cella dove era stata rinchiusa. Sul muro della cella c’erano ancora i messaggi scritti di suo pugno. Un avvocato e la sua cliente nella stessa cella. Una cosa impensabile. Non mi era stato permesso di ascoltare cosa aveva da dire, ma l’ho letto sul muro della cella.
L’arresto di Shiva e in particolare l’accusa di muharebeh, sono un messaggio chiaro alle attiviste: smettetela se non volete essere uccise”.Le vicende di Shadi Sadr, Shiva Nazar Ahari e Mahboubeh Abbasgholizadeh sono quanto mai istruttive. I loro casi sono stati utilizzati come pretesto per smantellare il movimento dei diritti delle donne e per ridurre al silenzio le donne agitando la questione della sicurezza nazionale.
Il regime ha parlato di legami con il “terrorismo” o di collaborazione con Paesi stranieri allo scopo. Lo scopo, dice Parisa Kakaee, veterana del movimento dei diritti delle donne, è quello d’offrire alle attiviste 3 alternative: “Stare zitte, andare in prigione o lasciare il Paese”. Sempre meno, e meno libere. Il mese scorso è stata la volta di Nasrin Sotoudeh, 45 anni, avvocata e collega di Shirin Ebadi che nella sua carriera ha difeso molte attiviste. Nasrin è stata avvicinata da agenti dei servizi e minacciata di essere arrestata se avesse continuato a patrocinare la premio Nobel che è riuscita a lasciare il Paese un giorno prima delle elezioni. Qualche giorno dopo Nasrin Sotoudeh è stata arrestata. Commentando il suo arresto, Shirin Ebadi dice: “La sola ragione per cui è stata arrestata è perché difende senza paura le attiviste incriminate per la loro azione politica. Dopo le elezioni si è intensificata l’azione di intimidazione nei confronti degli avvocati, in particolare delle donne. Molte sono state costrette a lasciare l’Iran e alcune sono in prigione. Nasrin era tra le poche avvocate e attiviste ancora a piede libero”. Shirin Ebadi è sicura delle ragioni per cui il regime ha paura delle donne: “Ricordate bene le mie parole: saranno le donne a portare la democrazia in Iran”.


(di Peter Beaumont e Saeed Kamali Dehghan. Copyright: The Guardian. Versione italiana Il fatto quotidiano – Traduzione di Carlo Antonio Biscotto)

mercoledì 29 settembre 2010

L'orda di oggi...

i ratti frontalieri


"Quando gli albanesi eravamo noi, era solo ieri"

"L'Orda". Tra i libri del giornalista Gian Antonio Stella, questo è quello che più mi ha colpita, perché capace di smuovere con la sola parola le coscienze sonnolenti. Si parlava di un passato, l'emigrazione italiana, contrapposto a un oggi che ha trasformato gli italiani da vittime a giudici. Ma i serafici svizzeri ci ricordano che non è così: ci hanno giudicato, come sempre come tanti. Eppure, quel che è peggio, ci hanno paragonati a "ratti" affamati di lavoro (leggi l'articolo di Repubblica.it). Topi ciccioni che si chiamano Fabrizio (il ratto manovale) e Giulio (il roditore avvocato), e Bodgan. Bodgan, perché oltre agli italiani gli indesiderati sono anche i romeni (vedi il sito "Bala i ratt"). Romeni: nell'immaginario tanto vicini agli albanesi, quelli del titolo del libro di denuncia di Stella. I curatori del sito che accompagna la campagna, diffusasi su Facebook e poi fattasi pubblicità, dicono di non essere contro i 45mila frontalieri che varcano il confine ogni giorno, ma di voler proseguire la loro battaglia per garantire una tutela agli svizzeri (Verbanianews). Niente da dire, ma se così fosse i ratti se li sarebbero potuti evitare. Non fosse altro perché si tratta di lavoratori, stretti in una polemica che dura da tempo. A dimostrazione che vittime e giudici sono titoli opposti quanto sovrapponibili. Nei secoli dei secoli e in ogni dove: "... l'orda di ieri".



... l'orda di ieri. Ratti nei secoli.


"La discarica senza legge": l'invasione giornaliera dei nuovi immigrati direttamente dai bassifondi d'Europa (Fudge, 6 giugno 1903)

sabato 25 settembre 2010

Laura: un prete ha abusato di lei. La sua vita amorosa stravolta

"Erano giovani, belli, intelligenti, puliti. Molti li ho ritrovati su Facebook, sono rimasta annichilita nel sapere che erano ancora in contatto con quel prete. Soprattutto se penso a quello che hanno subito, più grave e pesante ancora di quel che è toccato a me, forse perché ero una bambina e loro dei maschietti. Gli abusi e le violenze che abbiamo patito hanno cambiato per sempre la nostra vita, non c'è risarcimento per qualcosa che ti impedisce di essere te stesso, ti fa perdere la fiducia, stravolge per sempre la tua vita amorosa".
Laura M. ha 35 anni, un compagno, un lavoro da insegnante in un piccolo centro del nordest. Insieme a quello di molti altri sconosciuti che hanno risposto all'appello il suo sarà uno dei racconti che oggi a Verona vorrebbe cambiare la storia italiana delle vittime della pedofilia nelle chiese, nei seminari, nei collegi. Quelle vittime di preti pedofili che - secondo il gruppo 'La colpa' (infolacolpa. it) che ha organizzato l'incontro al Palazzo della Gran Guardia, scegliendo non per caso uno dei luoghi più visibili della città - in Italia fanno ancora così fatica a denunciare gli abusi subiti, a essere creduti, a ottenere giustizia.
Il racconto di Laura è arrivato prima con una timida mail: "Gentili signori, ho visto il vostro annuncio su Internet. Non so se il mio caso vi può interessare perché non mi sono mai rivolta alla polizia e ancora oggi non ho il coraggio di svergognare quel prete, che sia pure molto anziano è ancora presente nella sua comunità".
Dall'altra parte, la donna ha trovato incoraggiamento e comprensione: "È capitato anche a noi, a volte si convive tutta la vita col peso di un'ingiusta vergogna". Così, è riuscita a continuare: "Avevo 11 anni quando ho sentito per la prima volta su di me il sesso di un uomo. Era il mio parroco, e ogni scusa era buona per restare solo con me e attirarmi in casa sua, sopra la sacrestia. Io resistevo, ma ero debole, indifesa, non capivo quanto fossero gravi quelle molestie e non avevo il coraggio di ribellarmi a un adulto del quale mi fidavo ciecamente. Lo scandalo scoppiò quell'estate, un ragazzino più piccolo raccontò a casa quel che gli stava capitando e scoprimmo così che la cosa andava avanti da anni, che alcune famiglie avevano cambiato parrocchia senza però mai pensare a proteggere i figli degli altri...".
Ma, come in molti altri casi, le gerarchie locali scelsero di insabbiare il caso: "Quel prete lo trasferirono per due anni al Tribunale ecclesiastico, poi gli affidarono un'altra parrocchia, poi ancora un'altra, neppure troppo lontana. Andai dal padre spirituale del collegio, mi disse di non parlare e che potevo continuare a volere bene al mio parroco... Dopo, venne un altro prete, un uomo di grande moralità, è grazie a lui se non ho smesso di credere in Dio. Ma per anni e anni non ho potuto avvicinare un uomo, non sopportavo neppure l'idea e soffrivo ancor di più pensando ai miei amici, quelli con cui ho diviso gli anni che dovevano essere i più belli.
Ora so che molti di loro non hanno potuto farsi una famiglia né essere felici, e non riesco a perdonare". Resta un peso difficile da cancellare: "Ho cambiato città, mi sono allontanata, a trent'anni mi sono fidanzata, ma ancora non riesco a pensare a dei figli. E vorrei far qualcosa per non lasciare più che la vita di un bambino sia compromessa per un sistema malato, che la vita di un adulto sia sprecata. Naturalmente non farò il nome dei miei amici. Vorrei poter dir loro del mio affetto, ma consegno la mia esperienza come la denuncia del nostro male".
Storie come quella di Laura hanno convinto il gruppo originario dei fondatori di 'La colpa', perlopiù ex allievi del 'Provolo', la scuola per bambini sordi di Verona dove decine di allievi sarebbero stati abusati, che era giunto il momento di uscire allo scoperto. "Vogliamo offrire a tutte le vittime di preti pedofili italiani il sostegno psicologico che è indispensabile, perché queste violenze sono paragonabili a quelle familiari anche per le conseguenze che lasciano - spiega Salvatore Domolo, 45 anni, il portavoce, che ha alle spalle una storia di bambino abusato e di ex prete - e il sostegno legale. Ma non ci interessano i risarcimenti, quanto l'urgenza di un'azione legale verso la Chiesa cattolica per crimini contro l'umanità. E il 31 ottobre saremo a Roma, insieme alle vittime da tutto il mondo, per manifestare con le nostre facce e le nostre storie quello che è accaduto anche in Italia, a centinaia di bambini e di ragazzi".

(di Vera Schiavazzi, La Repubblica)