venerdì 30 aprile 2010

Master di giornalismo per 10 studenti ai Mondiali di pattinaggio di Torino


30 / 03 / 2010 - Si è conclusa sabato, ultimo giorno di gara, l’esperienza sul campo di 10 studenti del Master di giornalismo di Torino che per una settimana hanno collaborato come volontari alla realizzazione dei centesimi Mondiali di pattinaggio di figura Torino 2010. Tra i 450 volontari che hanno partecipato allo svolgimento dell’evento, i ragazzi, hanno sfruttato l’evento come tirocinio occupandosi in particolare delle aree dedicate ai servizi ai giornalisti: help desk e distribuzione risultati e statistiche sia nella tenda media che in tribuna stampa, assistenza durante le conferenze stampa e ai fotografi nelle postazioni a loro dedicate. Altro compito delicato di questi “volontari specializzati” è stato il servizio di “flash quotes” nella zona mista (l’area in cui gli atleti incontrano i giornalisti). I ragazzi avevano il compito di intervistare gli atleti appena usciti dal campo di gara raccogliendo le prime impressioni a caldo, trasferendole il più velocemente possibile poi in formato cartaceo e via e-mail a tutti i media accreditati.

Tra i volontari impegnati per i Mondiali anche un gruppo di dieci studenti del Liceo sportivo Seghetti di Verona che hanno collaborato con il Comitato Organizzatore sempre nell’area dei servizi ai media.

Tutti i volontari sono preziosissimi in questi eventi e a tutti loro va il mio ringraziamento -ha detto Pierpaolo Maza presidente del Comitato direttivo-. Sono contento che per alcuni ragazzi come quelli del Master di giornalismo di Torino e per quelli del liceo Seghetti questa sia stata anche un’esperienza formativa.

Nella fotografia in alto i ragazzi del master di giornalismo che hanno partecipato alla manifestazione come volontari.

(www.ecotorino.org)

mercoledì 28 aprile 2010

Marina Di Modica: il ricordo su tante nuche, incavi pieni.


Dicono che il dolore si raccolga nell’incavo della nuca e che, col passare del tempo, pieghi gli occhi alla terra. Dicono anche che, se il dolore viene dalla perdita di un figlio, non si smetta più di guardare il mondo a testa china. A ben guardare, la nuca del professor Gaetano di Modica porta il peso della scomparsa della figlia Marina, da quattordici anni; il suo è un incavo sul quale gravano gli sviluppi di un processo che cerca con troppo fatica la verità.

La sua storia di professore emerito, già ordinario di Chimica industriale all’Università e socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, si lega a quella della figlia Marina, la logopedista scomparsa nel nulla l’8 maggio 1996 e il cui corpo non è mai stato ritrovato. Una storia che si è trascinata nel tempo e che, dopo la condanna in appello a 14 anni per il filatelico Paolo Stroppiana, imputato in omicidio, è tornata in questi giorni sul banco del tribunale, con l’apertura di una nuova inchiesta; questa volta nel registro degli indagati sarebbero entrati personaggi legati a Stroppiana, che potrebbero essere accusati di falsa testimonianza.

Per il professor Di Modica, classe 1922, sono sviluppi faticosi da sopportare. Eppure, non può mancare alla consegna dei premi universitari dedicati ai giovani scomparsi prematuramente; così per la cerimonia torna nel palazzo del Rettorato di via Verdi, che lo ha visto crescere professionalmente. Se ne sta in prima fila, nell’aula magna, si alza in piedi per scambiare qualche parola; poi, si risiede. Tiene in tasca un fazzoletto bianco che si passa sul viso con gesti lenti. Al suo fianco c’è la moglie, Marina Ferrero, la donna che ha allevato Marina come fosse una figlia naturale e che ripara gli occhi dietro un paio di occhiali scuri; anche la sua è una nuca appesantita dal dolore.

Con i Di Modica sono presenti tutti i genitori che hanno voluto intitolare un premio in ricordo dei loro figli scomparsi. Tante nuche, tanti incavi pieni. Li accoglie il rettore dell’Università, Enzo Pelizzetti, con un discorso breve e delicato: «Abbiamo voluto tenere separato da altre iniziative questo incontro proprio in virtù del suo significato. Questi riconoscimenti premiano l’attività di studenti e neolaureati della nostra Università; ci danno soddisfazione e tanta commozione».

La borsa di studio intitolata a Marina Di Modica viene consegnata per ultima a Lara Aimone, del corso di laurea in Logopedia della facoltà di Medicina e Chirurgia, che non ha potuto essere presente alla cerimonia per motivi di salute.

«Non importa l’assenza, vale il pensiero». Gaetano Di Modica non ha mai amato, in questi anni, fare dichiarazioni, ma si ferma e stringe le mani a chi parla, come per prendere un po’ di conforto: «Cosa vuole che le dica, perdere una figlia così. La borsa di studio cha abbiamo voluto dare ci dà gratificazione, ma è motivo di tanta tristezza. Quella scomparsa ci lascia segnati. Marina aveva un forte legame con tutti noi, con me, con il fratello, con mia moglie. Andiamo in campagna, apro il suo armadio, ci trovo tutte le sue cose. Basta così». Con quel “basta” il professore scrolla dalla nuca un po’ di quella tristezza: è un momento, e il suo incavo torna pieno.


Giovanna Boglietti (www.futura.unito.it)

venerdì 23 aprile 2010

Sperando di vederti dipinto d'azzurro


Santa Rita le guarda dall’alto, sotto le spoglie di una statua incastonata nel vetro, sulla facciata della Chiesa del quartiere Miramar, all’Avana. Una Chiesa pulita, bianca sulla facciata come i vestiti che loro – le Damas de Blanco – indossano ogni domenica da sette anni quando, dopo la funzione, si mettono in marcia per le strade delle città cubana. Lungo la Quinta Avenida, in processione silenziosa, tengono fra le mani le fotografie dei familiari. Detenuti.

L'allora Presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell, ha consegnato loro il Premio Sacharov 2005 per la libertà di pensiero e i contributi alla difesa dei diritti dell'uomo. Quell'anno sono stati tre gli insigniti del Premio: il movimento d'opposizione cubano "Damas de Blanco", l'avvocato nigeriana Hauwa Ibrahim e l'organizzazione internazionale "Reporter senza frontiere".

Ma chi sono le Damas de Blanco, che sfidano con un fiore la durezza di Cuba? Sono mogli, madri, figlie dei 75 dissidenti politici che, nel marzo 2003, sono stati colpiti dall’ondata repressiva del regime castrista, ricordata come la Primavera nera di Cuba. Al loro fianco qualche giorno fa, da Miami, si sono mobilitati anche la cantante di origine cubana Gloria Estefan e il marito Emilio, produttore musicale.

Oggi, molti propongono le Damas de Blanco quali candidate al Nobel per la pace. Altri continuano a ostacolarle: la polizia ogni volta blocca la loro marcia, con non poco violenza, e ha arrestato alcune di loro, sostenendo che le autorità devono essere informate delle manifestazioni almeno 72 ore prima.

"Continueremo la nostra lotta pacificamente", ha dichiarato Bertha Soler, attivista del gruppo, "perché le strade di Cuba sono di tutti i cubani e tutti abbiamo diritto a camminare liberamente". Un mese fa un notiziario della televisione cubana ha addirittura accusato le Damas di provocazione, aggressione e ingiurie contro il Paese, definendole "mercenarie".

Con l'avvento di Barack Obama alla Casa Bianca, sembrava che si fosse aperto uno spiraglio tra Washington e L'Avana. Al vertice delle Americhe a Trinidad e Tobago si era parlato di dialogo tra Stati Uniti e Cuba: in quella occasione Raúl Castro, fratello di Fidel e attuale presidente di Cuba, si era dichiarato aperto "a parlare di tutto, anche di diritti umani". Oggi, proprio sui diritti umani Cuba non vuole saperne di trattare.

Loro, le Damas de Blanco, continuano a protestare, silenziose. Sui loro corpi di donne, bianche e coraggiose, si posa lo sguardo ferrigno delle autorità cubane e quello magnanimo di Santa Rita. Sembra di sentire correre loro incontro le parole della canzone più famosa della sostenitrice Gloria Estefan. “Hoy” porta speranza al loro oggi:

“Tengo marcado en el pecho, todos los días que el tiempo no me dejó estar aquí. Tengo una fe que madura, que va conmigo y me cura desde que te conocí. Tengo una huella perdida entre tu sombra y la mía, que no me deja mentir. Soy una monedaen la fuente; tú mi deseo pendiente mis ganas de revivir. Tengo una mañana constantey una acuarela esperando verte pintado de azul. Tengo tu amor y tu suerte y un caminito empinado. Tengo el mar del otro lado: tú eres mi norte y mi sur”

“Ho segnato nel petto tutti i giorni che il tempo non mi lasciò stare qui. Ho una fede che matura, che sta con me e mi cura da quando ti ho conosciuto. Ho una impronta perduta, tra la tua ombra e la mia, che non mi lascia mentire. Sono una moneta nella fonte tu il mio desiderio sospeso, la mia voglia di rivivere. Ho una mattina frustrante e un acquarello sperando di vederti dipinto di azzurro. Ho il tuo amore e la tua fortuna e una strada ripida. Ho il mare dall'altro lato, tuo sei il mio Nord e il mio Sud”.


Giovanna Boglietti

mercoledì 21 aprile 2010



C'è un tale fulgore

anche nelle cose più semplici, Orah'le.

Promettimi di vederlo sempre.


(D. Grossman - A un cerbiatto somiglia il mio amore)

Quindici volte aborto.


"For years, it didn't occur to me that there was for anything to tell about abortion. The opposite. There was much to forget"




Quindici volte. Perdere un figlio quindici volte per volontà di un marito che si definiva "femminista". Ma soprattutto a causa dell'incapacità di difendere la propria maternità. Mentre in Italia si dibatte sul senso della pillola abortiva Ru486, da oggi somministrata a quattro donne all'ospedale Sant'Anna di Torino, negli Stati Uniti il dibattito cresce attorno al libro di Irene Vilar, tradotto in italiano con il titolo "Scritto con il mio sangue".


"Impossible motherhood", maternità impossibile, racconta di un passato che Vilar, bellissima portoricana di quarant'anni, ha superato con un secondo matrimonio e la nascita di due bambine. La sua storia inizia da giovanissima, con l'infatuazione per un docente universitario molto più grande di lei, che la sposa. Un uomo convinto che la maternità leghi la libera espressione della donna e che, per quindici volte, l'ha obbligata all'aborto.


Sul suo sito Internet, Irene Vilar chiede trasparenza e impegno a chi voglia affrontare il dibattito sull'interruzione di gravidanza. L'invito è uno solo: "Rompere il silenzio, parlare onestamente".

lunedì 19 aprile 2010

Noi donne, meno libere di vent'anni fa

Una società asfittica che guarda indietro, non accetta nuove figure femminili. E' vero: «Siamo sole»

Il movimento femminista non ha liberato le donne, scriveva sabato sul Corriere Susanna Tamaro. Ed è vero. Per essere libere bisogna avere opportunità, e diritti. E invece: dopo le prime, vitali (per molte donne sì, vitali) conquiste, come il diritto a interrompere una gravidanza, le femministe-guida d'Italia sono andate dove le portava l'ombelico. Invece di battersi per quote sul lavoro e asili nido, hanno passato svariati anni a discutere di «pensiero della differenza». Lasciandosi indietro milioni di donne che avrebbero appoggiato (avrebbero beneficiato di) battaglie liquidate come «emancipazioniste», come se fosse una parolaccia. Rimanendo in pochissime, fino a implodere. Attorcigliandosi a discutere di corpi ed embrioni fino a raggiungere (alcune) l'opposto estremismo: prima praticavano aborti, ora vogliono impedire ai corpi delle (altre) donne di concepire con la fecondazione assistita se non maritate, o di abortire.

E così, il femminismo italiano ha avuto durata breve, è stato marginale. E il suo ripiegamento riflessivo ha contribuito a danneggiare le donne lavoratrici, le donne madri, le donne omosessuali, le donne avventurose, e tutte le minoranze. Anche grazie allo scarso femminismo, in Italia non si è mai creata una vera cultura del politicamente corretto. Che non è (solo) una censura sui battutoni; è soprattutto rispetto per l'altro/a. Che altrove ha portato alle donne vita più facile e fatiche domestiche condivise; che (per dire) fa sì che negli Stati Uniti ci sia un presidente nero e un'icona dell'opposizione femmina e di estrema destra. Della cui assenza in Italia, tutte e tutti stiamo pagando il prezzo: razzismi multipli, misoginia e maschilismi fieri, insensibilità collettiva a comportamenti privati di persone pubbliche che altrove porterebbero crisi e dimissioni. L'assenza di political correctness femminista ha poi legittimato un sessismo ordinario capillare, negli uffici, nelle famiglie, nelle relazioni. Tanto comunemente tollerato e incoraggiato da far accettare che la liberazione sessuale venisse trattata come un grosso business.

Più redditizio che altrove, è noto. Perché non controbilanciato da movimenti di opinione femminili (e non) che criticassero l'onnipresenza di seni e glutei, la cooptazione in base all'età e all'aspetto, le continue discriminazioni. Anche per questo — Tamaro giustamente lo denuncia — siamo circondati da ragazzine e bambine aspiranti veline. Anche per questo non abbiamo modelli femminili validi, magari non attraenti, che non siano showgirls. Non per questo le ragazzine sono più promiscue, come lamenta Tamaro. Lo sono meno di tante adolescenti della sua generazione, e della mia. Sono meno libere di dieci o venti anni fa; non sono libere di sognare e sperare, soprattutto (specie le non-aspiranti veline). E non solo per colpa della recessione. Per colpa di una società asfittica, che tende a guardare indietro, che non conosce e non accetta nuove figure femminili. «Siamo sole», conclude Tamaro. Sì, lo siamo. Le ragazze precarie, le madri stanche, le donne che devono abortire e non trovano un ginecologo non obiettore, le sedicenni che non sanno dove andare a chiedere un contraccettivo e dipendono dal preservativo dei partner, le straniere abbandonate a se stesse, sono solissime. C'è bisogno di più femminismo, forse, casomai.

Maria Laura Rodotà (Corriere.it)

martedì 13 aprile 2010

Lingue: una Facoltà dai mesi contati?

taglialingue

Un grosso paio di forbici che chiude in una stretta una lingua; la immobilizza, la taglia. È il logo scelto dal Collettivo studentesco della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, come simbolo della protesta contro la riforma interna degli atenei italiani proposta dal Ministero. Un pacchetto di riforme su scala nazionale che interessa l’intera Università di Torino ma che coinvolge in particolare, per la sua specificità, proprio la Facoltà di Lingue. Facoltà che a Torino potrebbe addirittura scomparire.

Spiega Noemi Santarella, membro del Collettivo e rappresentante del Consiglio di Facoltà: «La cancellazione di Lingue deriverebbe dalle direttive ministeriali, intorno ai tagli e ai finanziamenti all’istruzione. Secondo questo disegno, ogni Università dovrà avere un tetto massimo di 12 Facoltà. Il problema è che il numero imposto non verrà calcolato in base alla quantità di studenti di ogni corso di laurea, ma sulla quantità del corpo docente. Nel nostro caso, con 96 docenti di cui 41 ricercatori, non si raggiungerà la soglia minima prevista».

La riduzione progressiva dei lettori, il blocco della didattica proposto dai ricercatori per il nuovo anno accademico 2010-2011, l’aumento delle tasse d’iscrizione: questi i punti toccati nel corso dell’assemblea di Facoltà che si è svolta lunedì 12 aprile, al Rettorato di via Po 17.

L’incontro, improvvisato sotto il porticato del palazzo, ha coinvolto più di cinquanta studenti. A parlare dapprima sono stati alcuni dei rappresentanti del Collettivo di Lingue, con lettori, docenti e ricercatori; è intervenuto per ultimo invece il preside, Paolo Bertinetti.

«Alle difficoltà che, nella prospettiva del disegno di legge del Ministero, coinvolgono tutte le Università e tanti indirizzi di specializzazione, la Facoltà di Lingue aggiunge un problema fondamentale, quello dei lettori – ha spiegato Bertinetti – I lettori, qui a Torino, sono da tempo in numero insufficiente e se ne contano sempre meno, perché non vengono sostituiti. Così accade a Lingue, ma se si trattasse di una Facoltà scientifica non ci si sognerebbe mai di fare a meno dei tecnici di laboratorio. Allo stesso modo, i lettori sono indispensabili per l’attività di didattica integrativa».

La misura adottata, secondo Bertinetti, è “fortemente punitiva” e ha già sollevato critiche da parte dei docenti e dei lettori, ma le loro voci sono rimaste inascoltate. Il preside si è rivolto allora ai ragazzi: «Sono esterefatto. Il Senato accademico non ha preso alcuna decisione in merito ai problemi della Facoltà; c’è da sperare che gli studenti siano più fortunati. Solo tre anni fa una mobilitazione così partecipata sarebbe stata impensabile. Mi complimento e vi ringrazio».

Sul problema dei ricercatori, vincolati da contratti co.co.co, parlano i membri del Collettivo: «I ricercatori non vogliono essere lasciati soli e che la protesta resti corporativistica. È quindi necessario spiegare agli studenti che l’iniziativa è stata pensata anche per il loro bene, come forma di pressione, ora che è ancora tutto possibile, che si parla di un disegno di legge».

Sull’aumento delle tasse universitarie il Collettivo ha già un piano pratico. Anticipa Noemi Santarella: «Una Università pubblica, in quanto tale, deve rispettare una quota massima. L’anno scorso non siamo riusciti a evitare la lievitazione delle tasse, ma almeno l’abbiamo limitata alle fasce alte di reddito. Adesso, in collaborazione con il Politecnico e con l’Università del Piemonte Orientale, stiamo approfondendo due soluzioni: la prima consiste nel creare 65 fasce con uno scarto non più di 10 ma di 15 euro ciascuna: la seconda, è una tassazione a coefficiente calcolata in percentuale Isee sulla base del reddito dichiarato».

Il Collettivo di Lingue stenderà tutte le rivendicazioni in un documento, che verrà letto nel prossimo consiglio di Facoltà, a fine aprile. La riunione è fissata per giovedì 15 alle 16, a Palazzo Nuovo. Su Facebook è inoltre possibile firmare la petizione contro l’aumento delle tasse universitarie. Per contatti, il sito del Collettivo di Lingue.

Giovanna Boglietti (Futura, www.futura.unito.it)

giovedì 1 aprile 2010

Siamo con Maria Luisa Busi. Con Tiziana Ferrario. Come con Lilli Gruber.

Rai, nuove epurazioni. Saltano tre conduttori del Tg1

Tre giornalisti sollevati dall'incarico di conduttori al Tg1, dove la situazione "non è più tollerabile" e richiede un intervento di Garimberti a garanzia di chi lavora in Rai. Lo dichiarano Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten, consiglieri di minoranza Rai.

"Ormai è evidente che al Tg1 è in corso una vera e propria epurazione dei giornalisti che non hanno firmato la lettera in favore del direttore - dichiarano -. La settimana scorsa era toccato al caporedattore Massimo de Strobel, oggi Minzolini ha annunciato al comitato di redazione che sono stati sollevati dal loro incarico di conduttore Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso, tutti professionisti che hanno contribuito a scrivere la storia di quella che un tempo è stata la più importante testata televisiva".

"Avevamo chiesto al direttore generale di fermare il disegno di annientamento dei valori, delle culture e delle autonomia professionali portato avanti con determinazione stalinista dal direttore del TG1 e pertanto lo riteniamo corresponsabile di
queste decisioni. Al presidente - concludono - chiediamo un intervento a garanzia e in difesa di tutti coloro che in questa azienda hanno lavorato e lavorano con professionalità, serietà ed apprezzamento generale. Quanto sta avvenendo al TG1 è il segno di un'arroganza che calpesta regole aziendali e dignità personali e per questo non è più tollerabile: non è in gioco soltanto la credibilità di quella testata ma dell'intero servizio pubblico".


(L'Unità, 31 marzo 2010)