(di Pino Scaccia, La Torre di Babele)
Teheran, 24 giugno 2006- Prima non volevano parlare, scappavano. Hanno visto la telecamera. Quando Leila si è avvicinata e ha spiegato che eravamo italiani hanno sorriso: "Allora sì, loro possono capire". Nessun problema a farsi riprendere a volto scoperto. Era stato difficile convincerle a parlare, è stato anche più difficile farle smettere. Parlavano tutte insieme, con fervore. "Guarda, qui la libertà adesso c’è, sarebbe falso dire che non possiamo parlare. Sicuramente noi iraniane siamo più libere di altre donne islamiche. Ma non è ancora abbastanza perchè noi parliamo ma loro non ci sentono. Quando chiediamo qualcosa ci rispondono: è la legge. Ma noi vogliamo sapere perchè, le leggi si possono cambiare se il popolo lo vuole". Ho incontrato questo gruppo di studentesse all’Università Statale, la madre di tutte le università iraniane, luogo di fermenti. E la loro falcoltà è la più avanzata di tutte: studiano legge e scienze politiche. Allora che volete? "Vogliamo spazio di negoziazione, vogliamo discutere, decidere insieme. Il nostro Paese è andato molto avanti rispetto ad altri Paesi islamici, ma non è ancora abbastanza. Non vogliamo soprattutto un mondo dominato dai maschi. Qui sono gli uomini che fanno e decidono tutto". Poi ti raccontano. Il chador è solo l’aspetto meno pesante, a molte piace portarlo. Ma è il resto che combattono, il rapporto nella famiglia (non parliamo del lavoro). A microfoni spenti ti spiegano. "Loro, gli uomini possono avere tutte le donne che vogliono, noi no, un uomo solo per tutta la vita, noi siamo proprietà assoluta e non dobbiamo neppure protestare. Non è giusto". La svolta, sicuramente, dipenderà da loro, dalle donne: come sempre in ogni parte del mondo. Qui hanno già cominciato.
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