lunedì 19 luglio 2010

Banlieue? Un sobborgo tranquillo


Angélique, nata il 31 dicembre 1991, è la più piccola di quattro figli. Genitori portoghesi, è una delle ragazze delle banlieues di Athis Mons, vasta area periferica di Parigi che comprende tre cité che in questi anni hanno accolto un numero sempre maggiore di immigrati, poco integrati e spesso nullatenenti, e che pullulano di criminalità più o meno organizzata. Teatri di vere guerriglie fra bande e police, come è accaduto di recente addirittura a Grenoble.


Angélique parla al quotidiano Libération, che sul suo sito ha organizzato un reportage dalla fine infografica intitolato “Les yeux dans la banlieue”, occhi puntati sulla periferia. Angélique dice di non essere scontenta della sua nazionalità francese, ma sottolinea categorica che le sue radici restano quelle portoghesi. Vive nella periferia parigina, “se si chiama banlieue, allora chiamiamola banlieue”. La sua passione è il calcio e la squadra in cui gioca con le sue amiche, copines. Alla domanda spinosa sull’esistenza delle “racaille” taglia corto: “Racaille non si sa cosa voglia dire. Non esiste nemmeno nel vocabolario. Vorrei cambiare presidente”. Non stupisce, dal momento che, anni fa, è stato lo stesso Sarkozy, allora ministro degli Interni, a coniare il termine “racaille”, una metafora per alludere ai giovani in rivolta nelle periferie metropolitane. Racaille come “feccia di dannati” ricalca lo slang di strada e corrisponde a “caillera”.


Angélique vede una Francia che si dice laica ma che non ammette immigrati, anche chi come lei vorrebbe specializzarsi all’università con un master e trovare un lavoro e un marito.


Ramalta, 15 settembre 1991, lavora in una scuola materna. Il calcio è la grande distrazione della sua cité. Non sa definire cosa sia la Francia: “è nera, è araba, è il senza colore”. Anche se vive in Francia, lei porta dentro le tradizioni e la cultura d’origine delle isole Comore. Ha due paesi, sa di essere francese ma il cuore è altrove. Non si vede sposata in futuro, ma con quattro bambini sicuramente. E con un buon lavoro.


Il calcio è tutto il mondo di Tarah, classe 1993. Risponde convinta: “Racaille, gente da galera che passa la giornata a disturbare gli altri, invece di lavorare e fa cose cattive”. Tarah vive nella banlieue della capitale, “un posto tranquillo, pieno di vecchi e cani, dove passo il tempo a rincorrere la palla. Non vado a scuola perché è dura, non lavoro e penso solo a uscire, uscire. Mia madre si occupa di me, mio padre fa la spola fra Haiti e la Francia, per i soldi ci penserò, non ho molto da chiedere, prendo quel che i miei mi danno. Andrò negli Stati Uniti da amici, in Francia non ci resterò, è morta”.


Angélique, Tarah e Ramalta sono le tre “filles de cité” protagoniste di un web-documentario girato da Djoudi Lamamra, da 19 anni responsabile del Football Club d’Athis-Mons, per parlare di giovani calciatori (maschi e femmine) delle banlieues non solo come disadattati ma come semplici sportivi, pieni di vitalità e capaci di sorridere. Il documentario spicca tra le notizie recenti del sito del Comune di Athis-Mons e s’intitola proprio “Les yeux dans la banlieue”.


Eppure molti giornali raccontano di ragazze vittime e prodotti delle periferie degradate. Nel febbraio di quest'anno, nella piccola Grenoble - mesi prima delle ultime rivolte - tre minorenni chiedevano 2mila euro a un coetaneo in cambio di foto compromettenti, unendo al ricatto botte e torture (leggi l'articolo).



Da tempo l’associazione “Ni putes, ni sousmises” (Né puttane, né sottomesse), presieduta da Fadela Amara (vai al sito e al libro), combatte la discriminazione di genere. Soprattutto l’abuso di potere nelle periferie:

La dérive des banlieues a commencé il y a une quinzaine d’années, avec le chômage de masse qui a touché de plein fouet les immigrés. Nombre de pères se sont retrouvés sans emploi. Ces pères, qui arbitraient les conflits entre frères et soeurs, et donnaient aussi les règles de vie de la communauté, ont été alors ébranlés dans leur position et dépossédés de leur autorité. Toutes leurs prérogatives sont, de fait, passées aux fils aînés. Les fils ont eu la responsabilité d’inculquer les valeurs familiales aux filles. Leur mission était claire : protéger la soeur des prédateurs, la préserver vierge jusqu’au marriage. Peu à peu, la vigilance des frères a tourné à l’oppression.


Divieto di uscire. Divieto di studiare. Matrimoni forzati. Controlli estesi. Nel vandalismo, le donne devono difendere la loro libertà. Questo ha scritto nel 2008 Renata Caragliano su Repubblica.it:


Nei quartieri periferici, già così segnati da una cultura patriarcale e monoreddito, questo comporta una perdita di autorità dei capifamiglia che vengono sostituiti dai figli maschi maggiori. I giovani hanno un solo valore, il denaro, e un solo modo di esistere, il rapporto di forza, la violenza. L' emarginazione e la mancanza di ruoli sociali fanno il resto alimentando solo rancore nei confronti di tutti, all' interno del quartiere e al di fuori. "Questi giovani non nascono lupi, lo diventano. La delinquenza non è inscritta nei geni, ma trae profitto dalla povertà e dalla sofferenza delle persone", scrive l' autrice che sembra mettere in guardia da pericoli che non investono solo le comunità straniere. "Né puttane né sottomesse" pubblicato in Francia ha venduto oltre 50 mila copie ed è stato tradotto dalla casa editrice indipendente napoletana NonSoloParole. L' autrice ha presentato le linee portanti del progetto Espoir banlieue (Speranza per la periferia) per la "de-ghettizzazione" delle banlieues.


Era un anno fa. L’attività dell’associazione di Fadela Amara continua. E così la tensione fuori e dentro le periferie.


Giovanna Boglietti




(foto di Amandine Petit)

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