La cerimonia di consegna è appena finita e con la voce emozionata chiede: “A Torino è già arrivata la notizia? Che vergogna!”. A Moncalieri, dove vive, la aspettano parenti e amici, ma dice che lì ancora nessuno sa del suo successo, vuole che resti una sorpresa per quando sarà di ritorno. Presto, prestissimo, perché – continua a ripetere – i suoi bambini la aspettano.
Attorno a lei c’è un vociare continuo. Telefono alla mano, si aggira ridendo alla Casa del Cinema di Villa Borghese, a Roma, sfondo della premiazione, dove ha sede fra l’altro
Il Paese di Edith Jaomazava, prima dell’Italia, è stato il Madagascar. In Italia Edith ha fondato nel 2004
E c’è riuscita, tanto che la giuria della MoneyGram non ha avuto dubbi a nominarla vincitrice. Racconta Katia Romano della MoneyGram: “Edith ha saputo sviluppare una azienda attraverso ciò che di buono ha la sua terra. Non solo: ha riportato in Italia un commercio caduto in disuso, tanto che, la sua, non è la solita vaniglia sintetica, ma un prodotto naturale e di qualità. E ancora, Edith dà lavoro in Madagascar a ben 300 persone e proprio a questi lavoratori lei porterà il premio vinto. Insomma, rientra nella categorie che riteniamo importanti: crescita dell’azienda, indotto occupazionale, innovazione, responsabilità sociale e imprenditoria giovane visto che ha solo 40 anni”.
L’imprenditoria di immigrati in Italia è agevolata dalla determinazione dei singoli, quella femminile poi è ancora più sorprendente, secondo Katia Romano: “Tra il centinaio di candidature ricevute, la metà erano di donne, questo è un buon segno. Ma è anche importante un altro dato: i candidati provenivano da tutto il mondo, dall’America latina all’Africa all’Europa. Si dedicano a un ventaglio vastissimo di settori (agricolo, alimentare, commerciale, solidale) e per lo più si sono inseriti nel Nord Ovest e al Centro, vicino a Roma. In pratica, dove è maggiore l’immigrazione, verso la capitale e in Lombardia attorno a Milano, tanto è possibile sviluppare realtà imprenditoriali convincenti”.
A proposito di integrazione, Romano racconta di storie altrettanto variegate: “Gli imprenditori arrivano spesso da clandestini, ma sono molto solidali gli uni con gli altri e così entrano nel circuito lavorativo; poi alcuni dei più bravi riescono ad affrancarsi e a sviluppare una idea: “La difficoltà è all’inizio, perché si sentono soli. Le istituzioni poi sono un ostacolo, tra permessi di soggiorno e autorizzazioni. Gli italiani, almeno nel caso dei nostri imprenditori, non sono razzisti, anzi li hanno accolti bene. Ricordo la storia della vincitrice del Premio Innovazione 2009: lei, ha vinto per una attività aperta grazie all’affetto di una vicina di casa italiana che credeva in lei e che le ha prestato 5mila euro”.
alla faccia di chi dice che stranieri e clandestini fanno del male alla società...l'unica distinzione da fare è tra cattive e buone persone.punto.
RispondiEliminapurtroppo alcune personalità rovinano e mettono in cattiva luce quelle migliori,della stessa nazionalità.
Di fronte a questa donna mi inchino... :)
certo non si possono dividere le masse in buoni e cattivi, la gramigna cresce anche negli orti curati. ma è positivo parlare di casi come questo, anto più che oltre ad imprenditoria nata dall'immigrazione, si tratta di una imprenditoria femminile, e non poco visto che è la metà nel suo genere!
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