mercoledì 28 aprile 2010

Marina Di Modica: il ricordo su tante nuche, incavi pieni.


Dicono che il dolore si raccolga nell’incavo della nuca e che, col passare del tempo, pieghi gli occhi alla terra. Dicono anche che, se il dolore viene dalla perdita di un figlio, non si smetta più di guardare il mondo a testa china. A ben guardare, la nuca del professor Gaetano di Modica porta il peso della scomparsa della figlia Marina, da quattordici anni; il suo è un incavo sul quale gravano gli sviluppi di un processo che cerca con troppo fatica la verità.

La sua storia di professore emerito, già ordinario di Chimica industriale all’Università e socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, si lega a quella della figlia Marina, la logopedista scomparsa nel nulla l’8 maggio 1996 e il cui corpo non è mai stato ritrovato. Una storia che si è trascinata nel tempo e che, dopo la condanna in appello a 14 anni per il filatelico Paolo Stroppiana, imputato in omicidio, è tornata in questi giorni sul banco del tribunale, con l’apertura di una nuova inchiesta; questa volta nel registro degli indagati sarebbero entrati personaggi legati a Stroppiana, che potrebbero essere accusati di falsa testimonianza.

Per il professor Di Modica, classe 1922, sono sviluppi faticosi da sopportare. Eppure, non può mancare alla consegna dei premi universitari dedicati ai giovani scomparsi prematuramente; così per la cerimonia torna nel palazzo del Rettorato di via Verdi, che lo ha visto crescere professionalmente. Se ne sta in prima fila, nell’aula magna, si alza in piedi per scambiare qualche parola; poi, si risiede. Tiene in tasca un fazzoletto bianco che si passa sul viso con gesti lenti. Al suo fianco c’è la moglie, Marina Ferrero, la donna che ha allevato Marina come fosse una figlia naturale e che ripara gli occhi dietro un paio di occhiali scuri; anche la sua è una nuca appesantita dal dolore.

Con i Di Modica sono presenti tutti i genitori che hanno voluto intitolare un premio in ricordo dei loro figli scomparsi. Tante nuche, tanti incavi pieni. Li accoglie il rettore dell’Università, Enzo Pelizzetti, con un discorso breve e delicato: «Abbiamo voluto tenere separato da altre iniziative questo incontro proprio in virtù del suo significato. Questi riconoscimenti premiano l’attività di studenti e neolaureati della nostra Università; ci danno soddisfazione e tanta commozione».

La borsa di studio intitolata a Marina Di Modica viene consegnata per ultima a Lara Aimone, del corso di laurea in Logopedia della facoltà di Medicina e Chirurgia, che non ha potuto essere presente alla cerimonia per motivi di salute.

«Non importa l’assenza, vale il pensiero». Gaetano Di Modica non ha mai amato, in questi anni, fare dichiarazioni, ma si ferma e stringe le mani a chi parla, come per prendere un po’ di conforto: «Cosa vuole che le dica, perdere una figlia così. La borsa di studio cha abbiamo voluto dare ci dà gratificazione, ma è motivo di tanta tristezza. Quella scomparsa ci lascia segnati. Marina aveva un forte legame con tutti noi, con me, con il fratello, con mia moglie. Andiamo in campagna, apro il suo armadio, ci trovo tutte le sue cose. Basta così». Con quel “basta” il professore scrolla dalla nuca un po’ di quella tristezza: è un momento, e il suo incavo torna pieno.


Giovanna Boglietti (www.futura.unito.it)

2 commenti:

  1. la perdita di un figlio comporta un dolore immenso,e accade sotto molteplici forme...sparendo,e non sapendo nulla,ed è un dolore che divora,oppure in circostanze "certe",dove puoi almeno piangere sulla sua tomba...ne so qualcosa(in parte) visto che un mio compagno di liceo è morto per un male incurabile (aveva 23 anni!!!!)e per i genitori è stata una gran mazzata...nonostante abbiamo altri 2 figli,ma è un gran dolore...
    Non sapere dove sta una persona secondo me conduce ad una pazzia o ad un qualcosa di lento,silenzioso...mamma mia!

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  2. aggiungo solo che c'è il pensiero che una persona possa aver tolto la vita, quella vita che tu hai dato a tua figlia e che hai protetto per anni. purtroppo, quella persona deve essere giudicata colpevole o innocente e il processo non fa che riaprire e chiudere la ferita di un genitore.

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