Per prima si è mossa la Francia di Nicolas Sarkozy, che dopo tanto discutere ha varato una legge che impedisce di portare il velo a scuola. Un “unicum” in territorio europeo, se si pensa che disposizioni analoghe sono in vigore in due Paesi a maggioranza musulmana, la Tunisia e la Turchia. Poi, è venuta l’ora dell’Italia, dove il connubio immigrazione-scuola si è fatto rovello leghista e troverà applicazione nella decisione del ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini di ammettere classi con una percentuale di stranieri non superiore al 30 per cento. Ma, dicevamo, dopo la Francia è subentrata l’Italia: la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo dice “Via ai crocefissi dalle pareti delle scuole italiane”, e la querelle sulla collocazione di Gesù Cristo (appeso o sfrattato, simbolo religioso o culturale?) ha avuto inizio. Segue il secco “no a nuovi minareti” della composta Svizzera.
Adesso tocca al Belgio, dove tiene banco una nuova polemica attorno al velo islamico, che ne vieterebbe l’uso non solo nelle scuole ma nella pubblica amministrazione. Il provvedimento si alimenta dell’alto numero di musulmani oggi presenti in questi settori, e non solo; a Bruxelles interi quartieri, come Molebeek St Jean o Anderlecht, sono abitati soprattutto da immigrati magherebini e nella città il nome più diffuso fra i neonati risulta essere Mohammed.
Scrive la giornalista di Repubblica, Mariagrazia Forcella: “Due diverse proposte di legge riguardanti il velo nelle scuole stanno per approdare al Parlamento belga: una presentata dai liberali, l’altra dal Vlaamse Belang (estrema destra fiamminga). Due partiti nemici. Ma i liberali, che inizialmente si trovavano soli a sostenere questa battaglia contro cattolici, socialisti e verdi, ora vedono le posizioni degli altri partiti avvicinarsi alle loro”.
La deputata liberale Antoinette Spaak racconta alla giornalista che l’eliminazione del velo rappresenta una “opportunità” per le bambine. Ma al momento la legislazione non distingue fra hijab, il velo che lascia il volto scoperto, e nikab, quello che copre interamente il viso e spesso anche gli occhi (e che in Belgio è costato diverse multe, fuori dal periodo riservato al Carnevale per via di un provvedimento che vieta di coprire il volto per irriconoscibilità).
Filip Dewinter sostiene: “Il velo è il simbolo della non volontà di integrarsi. Se queste persone vogliono indossarlo, devono tornare nei loro Paesi”.
Gli risponde Souhila, algerina e dottoranda all’Università di Bruxelles, che a Mariagrazia Forcella dice: “Io sono cresciuta con la parabolica, ho sempre conosciuto la vita in Europa. Voglio imparare e poi tornare nel mio Paese. Finchè potrò indossare il velo, rimarrò. Ma se mi verrà impedito, dovrò tornare a casa, lasciare gli studi. Perché mai potrò abbandonare quella che per me è una scelta fondamentale, religiosa e identitaria”.
L’Europa che sradica i simboli, religiosi e identitari come fa notare Souhila, non sembra fare eccezioni; che si tratti di un crocefisso o del velo. Eppure, stanno veramente lì il valore identitario e la corda tesa dallo scontro fra civiltà?
Giovanna Boglietti
Se andassi in un paese islamico e vedessi un simbolo religioso, e dicessi: "Lo togliete per favore?" non so se lo farebbero...ergo non vedo perchè togliere un crocefisso...
RispondiEliminaAllo stesso tempo però,penso che come esseri umani dovremmo avere l'accortezza di superare certi ostracismi,e pensare a rispettare culture e modi di pensare...
Ammetto qui di avere una opinione duplice.
Nella vita le sfumature sono molteplici, ed è bene riconoscerle. Il problema si pone quando i punti di vista sono stabilizzati su una posizione cristallizzata!
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