Previsto nella nuova legge. Nelle prime 14 settimane interruzione senza alcun limite
(Il Corriere della Sera)
Persi un figlio. Che sconfitta è l'aborto. Si puo' volere la liberazione del proprio ventre da un intruso e si puo' volere che l'intruso rimanga, disperatamente rimanga con noi. (Dacia Maraini)
Questione di potere, non etica: chi è davvero contro l'aborto, deve difendere la legge Donne-oggetto: questa è cultura della vita?
di Dacia Maraini
Ogni giorno sento alla radio o leggo sui giornali la domanda fatidica: ma come mai le donne non reagiscono? Perché non dicono qualcosa di fronte alla invadenza della Chiesa che pretende di decidere sui loro corpi? Eppure le donne parlano, e scrivono anche, ma le loro voci faticano a farsi sentire. Io stessa ho ragionato varie volte a proposito dell`aborto, ma è come se non l`avessi mai fatto. Dispiace ripetermi ma, per non passare da reticente, ribadirò: l`aborto certo non è una soluzione, si tratta di una scelta brutale che porta ferite sul corpo della donna e danni a un progetto di vita. Ma proibirlo vuol dire mandarlo in clandestinità. Per questo è nata la legge. Che ha immediatamente fatto calare la percentuale del 40%.
Chi è veramente contro l`aborto dovrebbe essere contento: lo scopo è o non è abolire la pratica abortiva? Se una legge riesce a ridurla di tanto, non sarà una buona legge? Invece no, l`aborto viene preso a pretesto per una crociata politica e ideologica sul diritto alla vita. Le donne, ancora troppo spesso lasciate sole di fronte alla responsabilità riproduttiva, vengono criminalizzate, si cerca di togliere loro ogni libertà di decisione. Da lì si capisce che si tratta di una questione di potere. Il potere di controllo sulla procreazione.
Anch`io sono per arrivare a eliminare l`aborto e con me milioni di donne, ma non credo che la soluzione stia in una legge proibitiva. L`interruzione della gravidanza si può eliminare solo con una cultura della maternità responsabile. Dare alle donne la possibilità di scegliere prima, non dopo. Quindi puntare sulla consapevolezza, sul sesso sicuro, sulle pratiche anticoncezionali. Che invece sono proibite dalla Chiesa. È come se si intraprendesse una campagna contro le morti sul lavoro e nello stesso tempo si proibisse l`uso dei caschi, delle cinture di sicurezza, degli estintori e delle sirene di allarme.
La domanda «perché le donne non alzano la voce» ha in sé qualcosa di misogino. Chi la fa non ha orecchie per le proteste femminili e nello stesso tempo si chiede il perché di tanto silenzio. Un paradosso tipico di questa epoca di grida e di mutismi umilianti. Solo le grandi folle: centomila, duecentomila donne in piazza, solo quelle risultano, per costoro, visibili. Tutto ciò che non appare nei salotti televisivi o sulle prime pagine dei giornali, semplicemente non esiste.
Le televisioni d`altronde, salvo casi rarissimi, mettono in mostra un'Italia del tutto virtuale. Una Italia sognata da menti grossolane e ingenue, priva di consistenza e di verità. Una Italia di donne sempre svestite e di uomini vestitissimi, che passano il tempo a insultarsi, perdendo completamente di vista il paese. Una Italia in cui è premiato chi fa il prepotente, chi è ricco e chi grida di più.
Una Italia in cui il corpo femminile è usato per vendere qualsiasi merce, trasformandolo, nella immaginazione collettiva, in merce esso stesso: sono la tua arancia, sono la tua birra, sono la tua automobile, sono il tuo computer.
Assaggiami, prendimi, comprami! Sarebbe questa una cultura che rispetta la vita?
(Il Corriere della Sera, 15 febbraio 2008)
Ogni giorno sento alla radio o leggo sui giornali la domanda fatidica: ma come mai le donne non reagiscono? Perché non dicono qualcosa di fronte alla invadenza della Chiesa che pretende di decidere sui loro corpi? Eppure le donne parlano, e scrivono anche, ma le loro voci faticano a farsi sentire. Io stessa ho ragionato varie volte a proposito dell`aborto, ma è come se non l`avessi mai fatto. Dispiace ripetermi ma, per non passare da reticente, ribadirò: l`aborto certo non è una soluzione, si tratta di una scelta brutale che porta ferite sul corpo della donna e danni a un progetto di vita. Ma proibirlo vuol dire mandarlo in clandestinità. Per questo è nata la legge. Che ha immediatamente fatto calare la percentuale del 40%.
Chi è veramente contro l`aborto dovrebbe essere contento: lo scopo è o non è abolire la pratica abortiva? Se una legge riesce a ridurla di tanto, non sarà una buona legge? Invece no, l`aborto viene preso a pretesto per una crociata politica e ideologica sul diritto alla vita. Le donne, ancora troppo spesso lasciate sole di fronte alla responsabilità riproduttiva, vengono criminalizzate, si cerca di togliere loro ogni libertà di decisione. Da lì si capisce che si tratta di una questione di potere. Il potere di controllo sulla procreazione.
Anch`io sono per arrivare a eliminare l`aborto e con me milioni di donne, ma non credo che la soluzione stia in una legge proibitiva. L`interruzione della gravidanza si può eliminare solo con una cultura della maternità responsabile. Dare alle donne la possibilità di scegliere prima, non dopo. Quindi puntare sulla consapevolezza, sul sesso sicuro, sulle pratiche anticoncezionali. Che invece sono proibite dalla Chiesa. È come se si intraprendesse una campagna contro le morti sul lavoro e nello stesso tempo si proibisse l`uso dei caschi, delle cinture di sicurezza, degli estintori e delle sirene di allarme.
La domanda «perché le donne non alzano la voce» ha in sé qualcosa di misogino. Chi la fa non ha orecchie per le proteste femminili e nello stesso tempo si chiede il perché di tanto silenzio. Un paradosso tipico di questa epoca di grida e di mutismi umilianti. Solo le grandi folle: centomila, duecentomila donne in piazza, solo quelle risultano, per costoro, visibili. Tutto ciò che non appare nei salotti televisivi o sulle prime pagine dei giornali, semplicemente non esiste.
Le televisioni d`altronde, salvo casi rarissimi, mettono in mostra un'Italia del tutto virtuale. Una Italia sognata da menti grossolane e ingenue, priva di consistenza e di verità. Una Italia di donne sempre svestite e di uomini vestitissimi, che passano il tempo a insultarsi, perdendo completamente di vista il paese. Una Italia in cui è premiato chi fa il prepotente, chi è ricco e chi grida di più.
Una Italia in cui il corpo femminile è usato per vendere qualsiasi merce, trasformandolo, nella immaginazione collettiva, in merce esso stesso: sono la tua arancia, sono la tua birra, sono la tua automobile, sono il tuo computer.
Assaggiami, prendimi, comprami! Sarebbe questa una cultura che rispetta la vita?
(Il Corriere della Sera, 15 febbraio 2008)
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